L’UOMO DISINCANTATO – Lord Finnegan si presenta a Peter

“Vede, vecchio mio,” disse Lord Finnegan mentre tra l’occhio e l’occhiale il suo sguardo scrutava analiticamente gli scaffali bruni della sterminata biblioteca di famiglia alla ricerca dello spazio perfetto per il volumetto rilegato in pelle che intanto stava soppesando nella mano, “io ho una natura da misantropo che col trascorrere degli anni sono riuscito per fortuna a peggiorare. Detesto le spiagge e in genere i luoghi affollati, amo gli aperitivi in terrazza, gli inservienti taciturni e la solitudine ineguagliabile di una passeggiata a cavallo. Adoro i cani – posseggo una muta da caccia di notevole pregio, sa? – e nutro un rispetto diffidente, davvero molto diffidente, per i gatti. Mi piace leggere Milton, specie quando sto di fronte alla nostra dolce campagna inglese, sempre un poco rorida per la brina o la pioggia e frastagliata tra campiture liquide di verde felce e cinabro o di color mirto; e poi ascoltare la musica sublime di Händel, il mio compositore preferito, in una stanza dall’acustica perfetta che è stata affrescata appositamente per me proprio in questa villa da Sol LeWitt, un grande artista contemporaneo che lei conoscerà senz’altro. Le confesso di prediligere la compagnia di una sola donna, una compagnia il più possibile austera, scandita da lunghi silenzi e poche parole di rango, importanti e definitive. Non tollero le comitive, la promiscuità chiassosa, l’invadenza, i confini negati dall’improntitudine o dalla malagrazia dell’indifferenza e della superficialità. Faccio tesoro invece della penuria fatale della vera amicizia, della latitanza dell’affinità elettiva; e allora, ma solo allora, non c’è davvero un amico migliore di me. Vede, mio caro, la verità è che, sebbene per via dei tempi tanto elettrizzanti e chiassosi quanto privi di credibilità e di concretezza che ci sono toccati in dote, la cosa risulti ancora abbozzata e costretta in una sorta di condizione embrionale, si va già plasmando sotto i nostri occhi una sensibilità perversa che io sono solito definire ‘politicamente regolare’. È più o meno la versione rivista e corretta del puritanesimo vittoriano. Tuttavia con una differenza non da poco: la moralità vittoriana era appunto a suo modo una forma di moralità e, per quanto soffocante e ottusa, nasceva da un’istanza fortemente radicata nella storia della nostra cultura. A quei tempi storia e morale pubblica andavano ancora di pari passo. La stessa cosa non succederà – mi creda – quando saranno maturi i tempi per la piena affermazione del ‘politicamente regolare’, che invece non ha radici storiche ma solo riferimenti nella cronaca spicciola. In parole povere il risultato finale di questo autentico scempio culturale sarà il sovradimensionamento precettistico del piccolo perbenismo quotidiano, enfatizzato dall’invadenza dei mezzi di comunicazione di massa che già stanno espropriando l’individuo della sua coscienza, della sua libertà, del suo privato, della sua complessità, ponendolo in uno stato banale di costante esposizione e connessione sociale e, quindi, anche di piena e indeterminata omologazione. Non escludo per esempio che, in quanto omicida riconosciuto e condannato, perfino un genio come Caravaggio possa in futuro essere cancellato dai libri di storia dell’arte, così come Rimbaud, che è stato un mercante di schiavi, da quelli di letteratura. Verranno giorni tristi in cui per essere riconosciuti ‘qualcosa’ ci si dovrà prima uniformare ai modelli etici di una comunità globale. Io, nel frattempo e per fortuna, so ancora annoiarmi con eleganza – e in questo sono indiscutibilmente figlio di mio padre – e a volte mi permetto anche di essere brusco, irriverente, addirittura cinico, tuttavia mai per affettazione e sempre per autodifesa. Si fidi di me: non c’è guerra di difesa più certa, più schietta, di quella preventiva. A parte questo, mi piace guidare – lei è ancora piuttosto giovane e quindi può capirmi meglio dei miei bolsi coetanei – ma solo automobili sportive e non in città, dove mi servo quasi sempre del taxi. Io non sono un uomo moderno, ho un rapporto contrastato con la tecnologia, la cui invadenza plebea mi disgusta tanto quanto in arte il concetto di gradevolezza, mentre godo della curiosità ricca della scienza, della perfetta bellezza della matematica, degli azzardi teorici della fisica. Sono un libertario ma con precise tendenze reazionarie, perché la speranza di incappare in un pensiero giusto – se lo ricordi ora perché poi da vecchio lo dimenticherà per forza – è affidata tutta all’efficienza teorica e tecnica dei contrappesi. Ahimè, non sono un uomo religioso ma credo, o forse m’illudo soltanto, di poter essere un mistico, con una nuance di nichilismo, se comprende cosa intendo. Non nego che mi piaccia molto il denaro – anche perché per fortuna ne ho a disposizione in abbondanza – a patto che sia io a servirmene e non viceversa, perché in tal caso esso perderebbe ai miei occhi ogni ragionevole valore. Amo centellinare le mie passioni, farne oggetto di degustazione meditativa, come si fa con certi vini prestigiosi, altra mia grande passione. Ritengo di essere pienamente me stesso già da solo, qui, nel soffice silenzio del mio palazzo: tutto il resto non è che decorazione, piacere o profitto. Io sono tutto questo, vecchio mio, e lei penserà, come spesso capita di pensare anche a me, che sono un uomo fin troppo abbondante, ma se ora lei mi chiedesse da dove vengo e dove vado in tutta onestà non saprei cosa dirle; anche se, a volte, lo confesso, di fronte a questa domanda, la tentazione di rispondere ‘vengo da un utero e vado a fare in culo’ mi ha solleticato più di una volta”.
Dopo quest’ultima affermazione, pronunciata ovviamente solo per gustarne l’effetto retorico, Lord Finnegan fece penetrare nello scaffale il libro che teneva in mano, lasciando che andasse a occupare lo spazio che, con visibile compiacimento, aveva finalmente riconosciuto adatto alle sue dimensioni. Poi, giratosi sui tacchi e sorridendo a Peter per tutto il tempo necessario ai suoi occhiali a tornare a pendergli molli sul petto come una collana, gli chiese: “E lei, vecchio mio, che mi racconta di sé?”

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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