L’UOMO DISINCANTATO – Dell’uomo nero (2)

Prima di essere – forse – una persona reale, l’uomo nero era un sentimento dell’immaginazione; era la favola della minaccia, il segreto vibrante dell’angolo oscuro. In cosa poi praticamente consistesse questo pericolo pendente sul mondo non era ben chiaro neppure a Elias (che pure viveva ogni giorno nell’incubo strisciante d’incontrarlo sulla propria strada, identico in tutto e per tutto alla descrizione di quel maggiore Philipp Johann Adolf Schmitt delle SS che, immancabilmente accompagnato dal feroce cane alsaziano Lump, aveva terrorizzato la sua infanzia e la sua adolescenza attraverso l’angoscia febbrile dei racconti dei suoi parenti ebrei sopravvissuti all’infernale campo di prigionia di Fort Breendonk, in Belgio); era un concetto che sfuggiva alla concretezza di una definizione ma con una potenza tale da renderla comunque superflua rispetto al flusso selvaggio della paura.
Elias andava per tentativi; si trattava di veri e propri rimbalzi della sua immaginazione al tempo stesso privi di sicurezze e di perplessità.
Escludeva per esempio che l’uomo nero avesse scritto dei libri o che avesse dipinto dei quadri, al massimo – e solo perché glielo suggeriva a pelle e a titolo precauzionale il suo diploma all’Accademia di Belle Arti – da giovane poteva aver abbozzato qualche maldestro disegno a matita. Supponeva che avesse amato strenuamente ma senza riportare successi duraturi e che vivesse psichicamente l’amore come uno stato costante di guerriglia, da Minotauro nel suo labirinto. Sapeva che nelle chiese anglicane c’era chi non rinunciava all’idea di pensarlo comunque sposato e magari anche come un buon padre di famiglia, forse distaccato, frigido, senza eroismi nella dedizione, ma mai privo delle dovute attenzioni, perché nessun figlio di Dio può essere smisurato, tanto nel male quanto nel bene; i più devoti immaginavano addirittura che in passato l’uomo nero avesse portato a casa con diligente fatica la spesa di Natale, affondando impassibile nella neve fino alle ginocchia, e questi pensieri rasserenavano in fondo molte persone, consolidando l’idea tipicamente anglicana che se Dio salva il Re o la Regina non può negare almeno di sfuggita uno sguardo anche ai loro sudditi più comuni. Gli era giunta voce poi di gente che, dopo aver spergiurato di aver visto l’uomo nero, in seguito, angosciata dalla testimonianza resa, si era volatilizzata per sempre. Molti invece si erano dileguati a titolo precauzionale, solo per aver rivelato, sempre appellandosi al beneficio del dubbio, i posti, gli spazi troppo aperti di un istante velleitario e le piccole tane quotidiane dell’uomo nero, i suoi luoghi di viaggio e di sosta, di combattimento, di superbia, di onestà e di intimidazione, di inganno per una libertà usuraia – che quasi sempre consente al massimo di ipotizzarsi altrove – e quelli invece di reale e pacato sudore laborioso.
Forse però – fantasticava Elias nei momenti dolcemente sbiaditi delle sue giornate – l’uomo nero era soltanto un’idea che, quando Wimbledon s’immedesimava completamente nel suo Nord d’appartenenza, avrebbe potuto materializzarsi da un momento all’altro tra le sue strade ordinate, serpeggianti di nebbia e ancora semivuote, nelle vesti di un sorridente stregone animista africano, con due incisivi d’oro e tutti gli altri denti bianchissimi, come d’avorio, avvolto in un mantello nero e con un lungo cilindro sulla testa, non molto distante dall’idea che ai tempi dei delitti di Whitechapel i disegnatori da gazzetta si fecero di Jack lo Squartatore. Avrebbe potuto aggirarsi per le vie del sobborgo lasciando sul selciato passi macchiati di umidità tipicamente britannica. Come un metronomo dimenticato, la punta del suo bastone da passeggio, sormontato dal calco della testa rimpicciolita di un antico nemico, avrebbe picchiato così senza indolenza né amarezza lungo un cammino assolutamente presunto. Perché non si poteva escludere che all’uomo nero non restasse poi molto tempo da vivere e che egli temesse di non averne a disposizione abbastanza per tutta la nostalgia che ancora gli rimaneva per scrivere l’indice giusto della biografia delle sue imprese ingiustamente considerate criminali.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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