L’UOMO DISINCANTATO – Dell’uomo nero (1)

L’esistenza dell’uomo nero – così come quella del diavolo – non era ancora stata accertata. Partendo da queste due condizioni di fatto e dando per scontato che in qualche modo, ancorché non immediatamente evidente, esse fossero in correlazione tra loro, Elias e Milica continuarono, col minimo grado di ponderatezza, a condurre una vita pressoché libera; cioè a vedersi, a ignorarsi, a cercarsi, a sfuggirsi, ad avere rapporti sessuali di qualsiasi genere senza essere sposati e talvolta anche a tradirsi, facendo ricorso indifferentemente sia alla lussuria occulta che alla sfacciata castità. C’è infatti in chi è propenso per natura all’empirismo – specie se nella sua forma più grossolana di mera attitudine mentale che degenera spesso nel fatalismo senza aprirsi mai a una vera consapevolezza e a adeguate meditazioni filosofiche – la segreta convinzione che il male e l’inferno, stante la smisurata varietà ammissibile delle loro manifestazioni, in fondo non debbano bussare alle piccole porte delle vite degli uomini liberi, che se ne restano quindi al riparo tra le mura inviolabili delle loro borghesi proprietà private, e questo nonostante i moniti gravi del clero e il carico di lavoro che pesa quotidianamente sugli ospedali e sui tribunali, guardati sempre in tralice, da una distanza di sicurezza, come retaggi d’altri tempi o effetti delle altrui disgrazie o necessità. Eppure quando la libertà diventa un fatto troppo comune, addirittura banale, un concetto tra i tanti che popolano il più scontato soprappensiero, c’è il caso che si faccia maschera del mostro, che ne faciliti l’insorgenza, come di una malattia. La libertà rivendica sempre il proprio splendore con sottili e terribili vendette.
Esisteva dunque il diavolo? E c’era davvero un uomo nero nascosto nell’ombra? Paradossalmente proprio la loro tanto estrema quanto frivola libertà addolciva l’apice dei dubbi di Milica e Elias col miele equivoco della paura, riportando sempre tutto nell’ambito di una rassicurante, e a modo suo piacevole e quasi giocosa, ebbrezza sensoriale.
La libertà è dopotutto una festa barbara, un rito ragionevole, un cerchio di luce che ruota preciso intorno al suo centro oscuro. Essa è soggetta a turbamenti, a precipitazioni improvvise, a tempeste in provetta.
Il vero pericolo sprofondava quindi dall’alto di tutto questo con la determinazione sottintesa di un carnefice. Nessuno in quel momento avrebbe saputo attribuirgli un nome o una faccia ma di certo era l’ala nera della felicità, l’occhio spietato del piacere. Il percorso del suo arbitrio era un enigma, in fondo al quale c’era Milica oppure Elias, non entrambi, uno soltanto, perché l’odio accompagna l’amore, come lo sposo fa con la sposa, ma la geometria dell’ira no, essa è l’alba che sorge per spezzare, per dividere il giorno dalla notte, essa seziona come un bisturi o una lama a doppio taglio, contraddice come vangelo del Figlio dell’uomo, condanna come se fosse la parola di Dio.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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