L’UOMO DISINCANTATO – Cose che accadono in una caffetteria di Weimar.

Le mani senza guanti, arrossate per il freddo, i vaghi profumi della caffetteria, lo scampanio di fondo, prudente, delle posate, delle tazze e dei bicchieri, il sorriso decoroso ma senza profondità della giovane cameriera bavarese, una tazza di cioccolato fumante intorno alla quale disporre ordinatamente i pensieri più importanti e davvero necessari, il piccolo tavolino d’angolo, di legno scuro, posto accanto alla finestrella affacciata sulla strada, tra l’al di qua di due tendine bianche da salottino mummificato di pessimo gusto e l’al di là prodotto dalla combinazione del marciapiede col cielo: tutto questo saturava l’attesa di Milica, che ormai era in preda a un’irrefrenabile impazienza. Quando infine avvertì la necessità di lasciar maturare una premonizione, girò improvvisamente lo sguardo che, attraverso il vetro, si fece largo all’esterno fino ai contorni sempre più decisi e quindi alle fattezze di una donna che stava arrivando, sospinta da un passo energico e vivace come quello di un’adolescente in un giorno di festa. Milica capì subito che Charlotte non poteva essere che lei.
Dopo una rapida serie di sentimenti embrionali, confusi e intrecciati in un groviglio destinato a rimanere per prassi senza speranza, l’emozione che si verificò inizialmente tra loro due col minimo indispensabile di chiarezza fu il disagio. Un ciao sopra un altro e due diversi sorrisi: quello di Milica, più strapazzato, e in aperto contrasto con la sua naturale esuberanza, e quello di Charlotte, appena più disteso, grazie soprattutto al sostegno di uno sguardo costretto quasi sempre verso il basso, in linea con le classiche abitudini di una fondamentale timidezza. Qualche parola, un altro cioccolato caldo, lunghi respiri e brevi risate liberatorie: era difficile per entrambe andare oltre tutto questo. C’era però un’infinita bellezza intrappolata tra quelle due donne, come una condensa di splendore misterioso o una sfavillante brina mattutina, stupefacente per lo spazio di pochi centimetri che le separava.
Alla fine Charlotte si decise a pronunciare la frase più lunga di quell’inizio così faticoso: “Ti sarai chiesta perché ti ho fatta venire qui, in Germania, così all’improvviso e senza darti spiegazioni: beh, è perché – vedi – anni fa, sotto i portici antichi di una strada del centro di San Gallo – conosci San Gallo? è in Svizzera, un bellissimo posto – beh, comunque lì, io ho baciato, ed è stato l’unico bacio completamente vero della mia vita, l’uomo nero: sì, proprio lui, quello che anche tu, prestando ascolto ai luoghi comuni e ai pettegolezzi delle favole, credi  ingiustamente capace soltanto di intenzioni criminali e disoneste; e avendo imparato sulla mia pelle che la nostra esistenza è appesa al filo di una plausibile interpretazione e a ragionevoli aperture di senso solo grazie alle conseguenze degli avvenimenti che ci accadono furtivi e che passano di solito senza attrarre l’attenzione, ho avuto in dono il tuo nome da lui, affinché potesse essere onorato in qualche modo il suo diritto a discolparsi …”
“Sai,” disse Milica immersa dal canto suo in una profonda e quasi insonnolita distrazione, “per me osservare il cielo è sempre terribile, guardare il cielo per me è una diseducazione all’eternità, che mi disabitua all’illusione di Dio. Il cielo mi fa pensare alla morte, mai alla vita, soprattutto quando è eccessivamente sereno come oggi…”
Charlotte la scrutò a lungo, poi allungò l’indice della mano destra e glielo passò sul naso, facendo finta di disegnarlo, quindi le sorrise abbassando subito lo sguardo, così come la sua strana timidezza vagamente arrogante l’obbligava a fare, si aggiustò i capelli con la mano e prese una sigaretta tra le labbra, riponendola però all’istante sul tavolino; ritenne infatti che a volte anche un atto di gentilezza privo di particolare importanza – com’era appunto quello, dovuto al suo imbarazzo all’idea di disturbare qualcuno fumando in un locale pubblico – potesse non essere irrilevante per la buona riuscita finale di tutto quanto il resto.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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