L’UOMO DISINCANTATO – Milica e Charlotte si baciano.

Giorno dopo giorno, mentre prendevano confidenza con la città assorbendola nel flusso dinamico delle loro esistenze in simmetrico, persistente avvicinamento e, procedendo per tentativi estemporanei, cercavano anche di rintracciare – l’una all’insaputa dell’altra – una presumibile continuità e la parvenza, per quanto vaga, di un filo logico nelle circostanze che – non troppo dissimili dalla spregiudicata naturalezza con cui una ragazzina decide da un giorno all’altro di indossare la prima minigonna della sua vita – le avevano portate a incontrarsi, Milica e Charlotte finirono per ritrovare insieme e tutta intera la luminosa profondità della loro adolescenza, sino a quel momento rimasta chissà perché in disparte a fare da piedistallo senza terra all’inesorabile invecchiamento della fissità del loro due mondi.
Impararono presto a passeggiare con disinvoltura per le strade severe di Weimar tenendosi per mano: era un modo semplice e funzionale di darsi stabilità, per non esaurirsi di nuovo e come sempre dentro un perimetro di solitudine estrema, accantonando nel frattempo scorte di compassione buone per i periodi di carestia che fatalmente prima o poi sarebbero arrivati. Nell’orbita sempre più stretta del loro avvicinamento, entrambe arricchivano di dettagli e di temperamento la specifica bellezza di ciascuna e realizzavano una sorta di variante estetica e morale della gravitazione per la quale le loro due coscienze si attraevano con una forza d’intensità direttamente proporzionale al prodotto della bellezza dei loro corpi e inversamente al quadro completo delle loro distanze caratteriali.
Il primo bacio tra Milica e Charlotte somigliò a un giovane autunno, svolazzò tiepido tra le loro labbra e rapidamente s’infittì di meraviglia, trascinandole via verso la sera. Accadde all’improvviso, senza calcolo alcuno, mentre curiose guardavano insieme un ubriaco che caracollava canticchiando, tutto preso dal suo vivacchiare alla buona di vicolo in strada e perfettamente a proprio agio nel ruolo di garante della sincerità del sorriso sconclusionato che ostentava; e tutt’e due, all’unisono, come centrando al volo lo stesso piattello, pensarono che la felicità fosse un oggetto all’incanto che spettava di diritto agli alcolisti, gli unici e i soli ad avere il coraggio di pagarla a caro prezzo con un fegato marcio.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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