L’UOMO DISINCANTATO – Tra niente e nulla

Calmati, cuore, che non è niente! E il niente è di niente, fosse anche la fine, la morte; come un tempo fu niente l’inizio, tra le doglie qualsiasi di un parto. Niente davvero è da dire o da fare, perché in fondo niente si può necessariamente cambiare: c’è solo da abbracciare questa caliginosa, docile svogliatezza interminata, che tuttavia – ed è ciò che il disincanto mi suggerì fin da subito – non sarà mai disperata, bensì sempre rifratta dalla sopravvivenza quotidiana, comunque sottomessa al giogo, leggero in quanto astratto, di una noia bella e mortale, e in ogni caso prima inghirlandata dal serto del tempo vago della giovinezza e poi mollemente sedotta da quel blando e mondano caracollare che, in quanto ovvietà semoventi e antropomorfe, alla resa dei conti tanto gonfie di un carico di inutili amarezze quanto rassegnate alla stramba, flautata isteria, qua e là anche eccedente per fare almeno di virtù necessità e non, come sempre, viceversa, delle risate segrete e della gioia enfatizzata, ci spetta comunque, purché siano elusi i doveri e tutti i piaceri mancati. Questa è la vita che nulla spera e alla quale nessuno, se potesse, ambirebbe mai, giacché ogni nascita non è in fondo che un sequestro di persona, un delitto che tutti annusano senza fiato, che tutti svendono a saldi improbabili d’inizio stagione, che un dio qualsiasi deride dall’alto, se non indifferente, senza alcun dubbio ininfluente. Questa è la vita, condita all’occorrenza dal gusto speziato di retoriche teologiche o sociali, elaborate per puro amore di resistenza, perché ciascuno è inadeguato alla sua illusione, perché l’uomo ha un prezzo e la sua speranza è in fondo sempre quella di non averne. Ecco perché essa nasce delusa, ecco perché si ha bisogno di ubriacarsi, ecco perché ogni sostanza stupefacente è una benedizione che sale dalle pietose profondità dell’inferno.

Il miglior rapporto possibile tra due esseri umani è quello tra una prostituta e il suo cliente. Esso infatti è onesto, chiaro, terso, meravigliosamente definito a priori. Cartesiano nella sua semplicità. Nessuno si aspetta, né può aspettarsi, più di quel che in effetti avrà. La parola chiave è trasparenza. Oggettività brutale magari ma indubbia, rotonda, senza fraintendimenti. Oggettività che è anche il massimo splendore di una resa necessaria. Resa che nell’assenza tutta chimerica dell’onore trova infine la ragione del suo poter essere almeno e certamente non disonorevole. Che farò senza Euridice?, si domandava Orfeo appena uscito dagli inferi. Assolutamente niente, proprio come quando lei gli era ancora accanto. Nulla muterà domani perché anche ieri niente d’importante doveva cambiare.

(estratto dal terzo volume)

©Andrea Rossetti

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