Il tennis è una specie di custodia o, meglio, di astuccio del tempo e dello spazio e dei conflitti che sempre attraversano furtivi il loro strano intreccio; esso è l’ambiente artificiale perfetto – quasi da esperimento scientifico – di un’esperienza nascosta e a tal punto implicita di entrambi da potersi permettere il lusso giocoso dell’evidenza più assoluta: lo sport. Cos’è uno scambio durante una partita se non l’evocazione dei rintocchi di un metronomo, delle sue oscillazioni sospese a ordinare una musica che tuttavia non può manifestarsi perché durante il gioco anche il pubblico è obbligato al più rigoroso silenzio (non di rado imposto con un certo sussiego dai richiami dell’arbitro di sedia)? C’è dunque un equivoco di fondo, che aleggia però in modo talmente recondito da passare di norma e non senza ragione inosservato. Uno scambio tennistico è tale perché ignora la musica e tuttavia non il suono ideale del suo tempo: è una sorta di contrazione sinfonica dell’attesa e del desiderio. Ma non è tutto. Lo scopo ultimo di ogni scambio è sempre la sua conclusione che, nel contesto di una partita, coincide da regolamento col punto assegnato al vincitore. Eppure sono infiniti i punti delle diagonali che, in quanto lati, delimitano il perimetro delle figure geometriche disegnate sul piano dai colpi dei giocatori e quindi, se quello vincente definisce in pratica le loro aree una volta per tutte, essi non cessano tuttavia di persistere, ribadendosi in teoria in eterno, senza soluzione di continuità: la realtà della materia si ferma, la possibilità della forma, invece, scivola via libera ancora e sempre e senza condizionamenti. È come se così, in una partita di tennis, lo spazio rubasse al tempo la sua potenziale eternità; uno scippo al quale ovviamente il tempo, in quanto dimensione a sua volta, non può semplicemente rassegnarsi, cosicché, quando i colpi dello scambio si caricano di effetto e le traiettorie iniziano a curvarsi e a piroettare nell’aria, ecco apparire le asole del simbolo ∞ – l’infinito – che di nuovo la fine dello scambio e l’assegnazione del punto interrompono sottraendo stavolta allo spazio, e forse addirittura con maggiore brutalità, il suo virtuale infinito.
(estratto dal primo volume)
©Andrea Rossetti