Non riuscendo più a starsene zitto, perché oramai si sentiva emotivamente destabilizzato dall’anomalo protrarsi del silenzio della Lady, ma anche per mettere un argine a quella corrente sempre più disordinata di pensieri che, nella loro bruciante effervescenza sentimentale fine a se stessa, cominciavano a inquietare non poco la sua formazione razionale sempre desiderosa di prospettive chiare e distinte, le chiese: “Che ti succede, perché non parli?” “Per la verità non parlavo nemmeno prima, mentre camminavamo. Sono per natura una di poche parole. Come mai te ne accorgi solo adesso? Cos’è cambiato per farti recepire come una novità degna di nota qualcosa che, dato che ormai dovresti conoscermi almeno un po’, è invece del tutto ordinario?” “Beh, non mi dirai che nel frattempo non è accaduto nulla!” “Intendi dire l’incontro con quella gente sulla collinetta?” “Non lo definirei solo un incontro, che diamine! Per te una cosa del genere è un fatto di così poco conto?” “Né di poco né di gran conto. Anche perché molti semplici incontri sono ben più importanti di ciò che è capitato a noi. Direi più che altro che è stata un’esperienza particolare in un contesto particolare. Con ogni probabilità altrove non sarebbe successo niente.” “Perché dici con ogni probabilità e non di sicuro?” “Oh, questa è bella!” esclamò liberando sulle labbra un sorriso che poi trattenne, però, con una leggera smorfia di sarcasmo ben prima che diventasse una vera e propria risata. “Proprio tu, l’uomo che spacca sempre il capello in quattro, che non è mai contento delle soluzioni che trova e ogni notte come Penelope disfa la tela appena tessuta durante il giorno, che è ossessionato dalla ricerca infinita della massima razionalità anche nelle circostanze più futili, pretendi da me, guarda caso proprio in questa circostanza, che sia del tutto certa di come sarebbe andato a finire in un contesto completamente diverso, del quale tra l’altro non so e non posso sapere nulla, qualcosa che invece è avvenuto qui e poco fa! Come pretesa assurda, direi che non è niente male! Non sarà invece che sei geloso? Perché solo la paranoia del possesso – concetto che tra l’altro già in sé tu hai sempre considerato privo di senso rispetto all’esistenza e ai suoi contenuti – avrebbe potuto spingerti a farmi una domanda tanto ridicola…” In coscienza Peter non poteva darle torto: la gelosia lo aveva realmente traviato lasciandolo in balia di contraddizioni irriducibili; sentiva di sprofondare in un vortice emotivo asservito allo spirito triviale della curiosità e all’ingordigia del pettegolezzo, perché non potevano esserci dubbi sul fatto che la sua stupida domanda avesse come unico scopo quello di indagare sulla propensione della Lady per certe pratiche erotiche e che nel contempo dovesse rappresentare l’avvio piuttosto maldestro di un ossessivo interrogatorio finalizzato a far luce su esperienze simili nascoste nel passato della Lady e sulla possibilità che queste potessero ripetersi anche in futuro (perché la gelosia, come certe brutte leggi, è retroattiva). Al fine di non rimanere prigioniero del cul de sac nel quale si era infilato da solo, Peter tentò una manovra diversiva: “Non sono geloso, sono innamorato. In fondo, se ho interrotto ciò che stavamo facendo, l’ho fatto per amore, soltanto dopo che quel tipo che sembrava Spugna del film di Peter Pan si è messo a gridare che amavi anche lui…” La Lady, stavolta, scoppiò a ridere: “Spugna, ma sì, è vero! Era identico! Comunque tu dai sempre troppa importanza alle parole e lo fai soprattutto nei momenti in cui esse ne hanno di meno, come appunto quelle del nostro Spugna…” e mentre scandiva di nuovo questo nomignolo riprese a ridere, ma in modo diverso rispetto a prima, come dentro a una bolla di sapone che vagava nell’aria intorno a lei con la serietà discreta della nostalgia. Questo fatto, che Peter non mancò di cogliere, lo insospettì di nuovo: “Però,” disse, “anche tu dai importanza alle parole: ricordi quando protestavi perché non ti avevo mai dichiarato il mio amore?” “Ma quelle erano appunto parole non dette: protestare per un’assenza non significa necessariamente dare importanza alla presenza…” “Questo però mi pare un ragionamento un po’ uterino!” “Forse stavolta hai ragione tu, ma magari è vero invece che in genere una donna e un uomo non sono attratti l’una dall’altro per comprendersi, ma solo per accoppiarsi: è il dispotismo riproduttivo della natura, no? Probabilmente il vero amore è solo quello omosessuale, anzi no, nemmeno, il vero amore è un incontro fortuito che il caso fa diventare tale, un colpo di fortuna che ci rende facile anche farne tesoro nel tempo.”
Queste parole che, come un’esca ideale per il silenzio, lei aveva buttate lì con una dolcezza tanto conclusiva quanto intimamente felice all’idea di essere sul punto di dileguarsi insieme al suono della voce da cui si era lasciata rappresentare, rimasero a vibrare per un po’ tra i pensieri di Peter che, tenuti ancora in scacco dalle infinite amplificazioni della gelosia, erano riusciti a poco a poco a trasformarle, distorcendole nella goffaggine di un’ansia dodecafonica. Era letteralmente immerso nel pensiero vuoto del rovello e del tormento, trascinato come per effetto di una corrente sottomarina verso un abisso in cui la massima fantasia possibile coincideva, a causa dell’assenza di metodo, con la sua totale mancanza. Sì, perché anche la fantasia ha le sue regole e necessita di logica, e senza di queste finisce per annacquarsi nell’allucinazione e per smarrirsi nel delirio, salvo ostinarsi poi a riconoscervi seri spunti di raziocinio e lampanti elementi di verità. La gelosia non è altro che una sorta di variante miniaturizzata e di uso comune della malattia mentale: non diversamente da un alienato, infatti, il geloso rifiuta la sua infermità, è in grado di argomentare circa la ragionevolezza delle proprie convinzioni e si sente autorizzato, in taluni casi con esiti drammatici, ad agire di conseguenza. In un certo senso si può dire che i gelosi e i pazzi in genere tendono a sopravvalutare la propria sanità mentale così come, fatte le debite proporzioni, i sani a sottostimare la loro follia.
(estratto dal secondo volume)
©Andrea Rossetti