L’UOMO DISINCANTATO – Una serata al teatro sperimentale (2)

Si ritrovarono allora su un tratto più ampio di strada che, stavolta in leggera discesa e a una certa distanza, fiancheggiava sulla destra il casale che ospitava il birrificio e a sinistra l’ex granaio dove era stato sistemato il laboratorio per la produzione della ceramica; in fondo, dopo un avvallamento, si poteva vedere per intero lo stravagante assemblaggio di edifici vecchi e nuovi che ospitavano le piccole abitazioni e gli atelier di alcuni artisti.
Dal momento in cui ci fece caso, ma senza essere in grado di definire con esattezza per quale motivo, Peter rimase molto sorpreso dalla circostanza che quello che stavano percorrendo si presentasse a loro in tutto e per tutto con l’aspetto canonico di un sentiero di campagna, scomodo a sufficienza, polveroso (ne sapevano qualcosa le scarpe di entrambi) e disordinatamente decorato da ciuffi di erbacce. In quel punto le lampadine erano state sostituite con delle grosse candele interrate lungo il lato destro della strada e protette da flambeaux di plastica rossa. Si aveva l’impressione che ad accompagnare il cammino dei passanti ci fosse una processione di creature invisibili, forse angeli, diretti verso la Candida Rosa, oppure demoni, mandati a indicare la via per le rive dell’Acheronte. Accanto a loro dardeggiava comunque qualcosa di profondamente spirituale e lo stesso volto della Lady, schiarito dalla luce fluttuante delle fiammelle arrossate dai flambeaux, alternava e intrecciava su di sé profondità chiaroscurali e levigato splendore in un turbine quieto inciso dai riflessi qui castani e là dorati dei capelli.
Mentre li raggiungeva, tanto nitido alle loro spalle quanto evanescente di fronte, il suono dei passi di altra gente in cammino verso il teatro, di tanto in tanto Peter e la Lady si guardavano – sebbene lei sola sorridesse anche – piacevolmente sconcertati da un sentimento di completa immersione in una libertà che, pur essendo fatta d’aria, conservava tutta la fresca densità dell’acqua. Sentivano di doversi abituare a quella sensazione e sapevano senza avere la necessità di dirselo che, affinché la cosa funzionasse, dovevano farlo insieme.
In fondo all’avvallamento la strada virava quasi ad angolo retto e conduceva di fronte a una piccola porta in ferro incastonata nel muro che cingeva interamente l’azienda agricola della comune: in quel punto le fiaccole rosse si interrompevano perché il cammino successivo non poteva essere davvero che uno, tra intuizione e fatalità.
A prima vista, al di là di quell’ingresso scomodo e realizzato alla buona, il luogo apparve loro disposto come il parco pittoresco, selvaggio e romantico, di una villa del diciannovesimo secolo; era un paesaggio a suo modo altero, che s’inerpicava, con studiata docilità, fino a una piccola collina dove, tra alberi maestosi, sorgevano gli edifici candidi d’intonaco nuovo della fattoria. Sullo sfondo, il cielo sembrava non essere mai stato così grande e assoluto e, nella profondità sottostante del suo grembo terrestre, si vedevano alcune persone muoversi con studiata lentezza.
Si trattava di un gruppetto di donne radunatesi nei pressi di un falò e coinvolte in una specie di messa in scena che a prima vista aveva tutte le caratteristiche dell’improvvisazione sperimentale (all’epoca, tra happening e jam session, cose simili erano di gran moda). Erano scalze e indossavano bluse svasate, perlopiù bianche, e gonne abbondanti e leggere decorate con scene tratte da “Alice nel paese delle meraviglie”; vedendole così, tutte insieme, si aveva l’impressione di essere di fronte a innovative abitatrici del bosco incantato di “Sogno d’una notte di mezza estate” (la convinzione era tale che a un certo punto Peter si stupì addirittura di non veder sbucare in mezzo a loro il folletto Puck). Tenevano i capelli raccolti dietro la nuca, ornati con piccole ghirlande di fiori, e, mentre giravano sia intorno al fuoco che su loro stesse, si muovevano con la mollezza graziosa e un po’ automatica delle ballerine dei carillon. Sorridevano tutte, spensierate; di tanto in tanto qualcuna, dopo aver gonfiato le guance, faceva un verso sempre differente rispetto ai precedenti che tutte le altre accompagnavano ridendo all’unisono, quasi seguendo un contrappunto scritto su una partitura ideale. A un certo punto una, facendo un passo avanti rispetto alle altre, cominciò a cantare: “La tua mano, Belinda… le tenebre mi spengono; lasciami riposare sul tuo petto; vi resterei più a lungo, ma la morte mi invade: la morte ora è per me un’ospite gradita!” E le altre, in coro, risposero sempre cantando:Quando giacerò nella terra, possano i miei errori non turbare il tuo animo. Ricordami, ricordami, ma dimentica il mio destino! Ricordami, ma dimentica il mio destino!”
Nel frattempo Peter e la Lady erano stati raggiunti sulla collinetta da una coppia di mezz’età vestita in modo piuttosto elegante (li avrebbero poi incontrati di nuovo a teatro e, durante lo spettacolo, come si vedrà, sarebbero stati protagonisti, loro malgrado, di uno spiacevolissimo incidente) che il chiaro di luna investiva in pieno, quasi si trattasse della luce scrutatrice di un occhio di bue.
Le donne intanto continuavano a danzare: ora la luce del fuoco, mescolandosi a quella della luna, le restituiva alla vista come tante figure vaporose di fumo e di candore, immerse in un placido vortice crepitante di scintille.
Una, la più bionda di tutte, continuando imperterrita a volteggiare, si sollevò all’improvviso la gonna mostrando di essere senza mutandine e offrendo a tutti la vista del triangolo di pelo appena dorato sul suo inguine. “Che gran bagascia!” mormorò disgustato l’uomo della coppia elegante mentre, con un cenno perentorio del braccio, sollecitava la moglie a proseguire il cammino in direzione del teatro senza indugiare oltre di fronte a quella scena. Poi la stessa donna prese per mano la Lady, le fece togliere le scarpe e la coinvolse nella danza. La Lady era visibilmente imbarazzata ma sorrideva comunque, un po’ per autentica gioia, un po’ per darsi un contegno mentre tentava di seguire i movimenti delle altre. I suoi occhi guardavano fuori dal mondo e, ogni tanto, tornavano sulla terra solo per fissarsi su Peter. Quando la ragazza bionda la cinse da dietro le spalle per alzarle la gonna, lei per un istante si ribellò, fece cenno di no con la mano protestando anche con un movimento rapido della testa, ma l’altra nel frattempo le aveva già sfilato con dolcezza le mutandine da sotto e quelle erano scivolate a terra, intorno alle sue caviglie, calciate via subito dal ritmo inarrestabile della danza. Poi la donna, sempre senza smettere di ballare, le aveva accarezzato una guancia e, dopo averla baciata sul collo, d’un tratto, con un gesto deciso, le aveva sollevato la gonna. Tutte scorsero allora l’inguine castano e curatissimo della Lady e subito ripresero a cantare insieme, mentre Peter – la cui disperata erezione cominciava nel frattempo a essere davvero molto dolorosa nonostante non fosse ovviamente la prima volta che vedeva quella parte del corpo della sua amante – non riusciva a impedirsi di sdrucciolare in uno stato di assoluto smarrimento, tra pensieri privi di radici e parole che rinsecchivano subito nell’impotente aridità della gola, riportando anche alla sua memoria il tempo in cui, all’alba della prima adolescenza, accettava ancora di subire le innumerevoli angherie di Patty, la giovane dirimpettaia sadica e bruttina, solo perché, così facendo, riusciva poi di tanto in tanto a farsi mostrare da lei le parti intime per tutto il tempo che gli serviva a eccitarsi e ad avere un orgasmo.
La danzatrice bionda non accennava minimamente ad abbassare la gonna della Lady, anzi la sollevava ancora più in alto, e lei, d’altra parte, come stordita dall’esplosione di euforico vitalismo da cui era stata sospinta senza preavviso al centro degli sviluppi imprevedibili di un vero e proprio stato di esaltazione collettiva che, simile a un corridoio delimitato da una progressione di specchi, continuava a riprodurre a mano a mano, e sempre con perfetta sincronia, il proprio inizio, non mostrava alcun evidente desiderio di opporre una qualsiasi forma di resistenza. Certo, per lei il coinvolgimento in quella situazione non doveva di sicuro essere privo di imbarazzo, un disagio manifesto soprattutto nel modo contratto col quale si sforzava di sorridere, ma mancava pure della benché minima traccia d’inquietudine (anche perché se Peter ne avesse percepita anche soltanto un’ombra sopra il suo bel volto sarebbe senza dubbio intervenuto per interrompere subito ogni cosa e per portarla via). Alla Lady, dunque, non dispiaceva dopotutto che tutte quelle donne, mentre danzavano in modo sempre più improvvisato, frenetico e sensuale insieme e vicino a lei, potessero guardare liberamente ogni particolare della sua intimità. Si girò, lanciando un’occhiata colma di un sentimento di rispettosa sollecitudine indagatrice verso il modo in cui Peter stava reagendo a quella serie così insolita di circostanze ma anche dell’estrema dolcezza alla quale, incantevole e sognante come nessuna, si abbandonava sempre nei momenti di assoluta gratitudine per qualcuno o verso la vita in generale; e, così facendo, aveva finito per incespicare sui suoi stessi piedi, così come succede ai bambini quando per gioco si mettono a camminare con la testa rivolta all’indietro. Cadde a terra e, ridendo serafica insieme alle altre, si ritrovò inginocchiata col bacino completamente nudo ed esposto alle carezze discrete dei chiarori lunari. Peter vide allora sbucare dal buio, accanto a sé, una mano a partire dalla quale, grazie al favore crescente della luce, si materializzò a poco a poco la figura di un uomo di circa sessant’anni, alto e dal fisico asciutto: aveva nei tratti un’antica bellezza spirituale che il colorito candido della sua pelle e il bianco dei suoi capelli ondulati e piuttosto lunghi rendevano immediatamente trasparente intorno alla limpida evidenza di due occhi color acquamarina. Costui, che indossava un bel completo color panna e portava sulle spalle un tabarro di panno scuro che gli scendeva fino al polpaccio, lasciò la sua mano protesa in avanti per saggiare da sopra i pantaloni l’eccitazione di Peter. Quando questi si tirò indietro accompagnando il gesto con un’esclamazione di protesta, lui, sorridendo, gli disse: “Non temere, non voglio niente da te. Perché invece non vai da lei?” E iniziò a slacciargli la patta finché il suo pene eretto non fu completamente di fuori. Peter si sentì sollevato mentre un vento leggero dava un po’ di refrigerio ai suoi genitali troppo a lungo frustrati dall’involucro dei vestiti e d’un tratto ebbe l’impressione che ogni imbarazzo o inibizione non potessero più nulla di fronte alla voglia di soddisfare un desiderio che la nudità del suo membro e quella del bacino della Lady insieme avevano infine liberato. Lei si piegò in avanti e Peter la penetrò: mai aveva provato prima un piacere così intenso e prossimo alla felice, eterea sospensione della gravità di un’esistenza che, senza paura ma con qualche vertigine, riusciva in quel momento a riconoscere definitivamente falsificata dalla sua, tanto occulta quanto sociale, inadeguatezza; la Lady, dal canto suo, rispondeva ai suoi movimenti con la prolungata musicalità di gemiti percorsi dall’aria cristallina della quale si compiacciono sempre i bei sogni, e che le danzatrici, ora sedute in circolo, ascoltavano in religioso silenzio.
A un certo momento, l’uomo col tabarro e l’abito color panna, si avvicinò al viso della Lady e lasciò che il suo membro uscisse per intero dai pantaloni; Peter si lasciò andare a un moto di protesta ma la danzatrice bionda gli si accostò e, confondendolo, iniziò a baciarlo sul collo. Egli guardava la Lady, docile come non era mai stata, baciare e assaporare il pene eretto di quell’uomo. Poi, ancora una volta dal buio, ma stavolta di fronte a loro, sbucò un tipo allegro e grassoccio, dalla faccia simpatica, che pareva Spugna di “Peter Pan”, la cui eccitazione, evidentemente covata a lungo nell’ombra, si traduceva nella gaia irrequietezza di una già ben avviata masturbazione. Anche lui si piantò davanti alla Lady che, senza protestare, cominciò a leccare anche il suo membro. La danzatrice bionda intanto non smetteva di baciare e accarezzare il pene di Peter, per aumentare la sua eccitazione, ogni volta che lui si muoveva all’indietro.
Poi però, il tipo grassottello con la faccia simpatica da Spugna disse a voce altissima, alzando le braccia al cielo proprio mentre la Lady aveva il suo membro in bocca: “Oh, sì! Lei ci ama! Lei ci ama tutti!”
“No!” rispose Peter dopo essersi fermato, “lei ama me, solo me!”
In un certo senso le parole di quell’uomo, nel loro entusiastico compiacimento, avevano avuto su di lui – e a posteriori si può ben dire non a caso – un effetto analogo a quello che poco prima gli aveva procurato l’assunzione della pasticca di D.O.G. Nel momento in cui infatti, insorgendo con rabbia contro una dichiarazione che in sostanza lo espropriava del sentimento profondo e privato che lo legava alla Lady per metterlo a disposizione di tutte quelle persone sino a trasformarlo in un bene collettivo (al quale poteva sì attingere, ma non più in modo esclusivo), egli aveva rivendicato quell’amore come qualcosa che apparteneva una volta per tutte soltanto a loro due (giungendo infine a guardare con un misto di rabbia e repulsione anche a quel rapporto fisico che lei stava consumando in pubblico con lui e con altri due uomini, perché nessun peso aveva più ai suoi occhi il fatto, comunque tutt’altro che irrilevante, che la stessa Lady vi avesse acconsentito senza subire alcun tipo di coercizione e anzi di buon grado), il mondo era tornato compatto, referenziale e assoluto; la sua volontà aveva lucidamente recuperato il dinamismo dei propri riferimenti morali; la fiabesca vaghezza e il molle fascino di quella situazione infiacchita da un primitivismo quasi arcadico avevano perduto ogni capacità di sedurlo e la sua stessa erezione ciondolava ormai come un ricordo appena un po’ più consistente del normale.

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