A questo inatteso abbandono al vuoto di un’estasi troppo generica per riuscire a concretizzarsi del tutto fece seguito una contrazione emotiva, qualcosa di molto simile a una risposta immunitaria, e gli incontri di Peter con la Lady divennero così a poco a poco tanto più frequenti quanto meno prodighi di parole d’amore, almeno da parte sua. Era come se il solo fatto di avvicinarla avvolgesse la sua vita interiore in una ragnatela di sensazioni e di pensieri – peraltro ben catalogabili e perfettamente identificati – che andavano e venivano, rassodandosi a ogni passaggio. Il suo amore per lei si asciugava, si rendeva tangibile in una dimensione antecedente a ogni forma di linguaggio che però non costituiva un impoverimento ma solo un cambio di prospettiva, un’inquadratura più essenziale del previsto e del prevedibile all’interno della quale le cose venivano rese esattamente dal solo gioco delle ombre e dei colori.
Peter si era convinto che fosse superfluo se non addirittura pericoloso avere a che fare col suo sentimento per lei ricorrendo alle parole – dato che ogni parola implica sempre l’assunzione soggettiva della responsabilità di una distanza dall’oggetto che dice – e così girovagava chiacchierando del più e del meno, dandole forse la sensazione sgradevole di voler tergiversare, di considerare quegli appuntamenti alla stregua di semplici svaghi mondani e la relazione tra di loro, che innegabilmente andava prendendo una forma, come un passatempo del tutto sotto controllo.
La Lady gli lanciava dei discreti segnali di disagio nell’unico modo che conoscesse in grado di salvaguardare l’onorabilità aristocratica della sua educazione: brevi scorci di una malinconia priva di dettagli, assolutamente generica, seminati qua e là con disinvolta noncuranza e che nessuno avrebbe potuto decifrare in modo corretto al di fuori di un amante consapevole del suo personaggio. Finché una sera, mentre tornavano a casa percorrendo Somerset Road tenendosi per mano come al solito, Peter, annientato dallo scoramento per l’ormai ingovernabile confusione emotiva che percepiva incombere in modo ogni giorno più grave sulla vacua tenerezza degli sguardi che, a dispetto di tutto, entrambi insistevano a scambiarsi (giacché c’è sempre e comunque un bambino dormiente in fondo a tutti noi, un piccolo bambino rinnegato che se ne resta vivo e quieto a riposare, come cullato in utero, sott’acqua ma mai sotto terra, felicemente amniotico accanto alle conchiglie vuote di molte piccole cicatrici a lui sconosciute), s’impose un compromesso e si decise a riparlare d’amore alla Lady, cercando nelle incredibili ridondanze di una specie d’improvvisazione teatrale la via per proteggere comunque la veridicità preziosa che fino a quel momento e con estrema dolcezza gli era stata assicurata dall’esperienza precisa e sempre in crescendo del silenzio.
“Ascolta: se mai dovessi dirti perché ti amo – le disse soppesando con la massima cura ogni parola – e bada che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti apparterrei, perché sarebbe già tutto nelle nostre belle letture a lume di candela, nell’abbraccio dorato e notturno di noi due come colli arcuati di cigni, nella ridente infanzia ritrovata di un letto allegro e licenzioso, in soffitta, scarabocchiato dalla luce sghemba degli abbaini.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e ti ripeto che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti sorriderei, perché sarebbe già nei soprannomi strani che ci diamo, nel gioco di sponda della nostra spensierata leggerezza, nelle molestie gentili delle mie mani richiamate fra i tuoi fiori, a fil di lama, dai piovaschi di una primavera ormai amalgamata alle sterpaglie.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e confermo che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti guarderei, affinché tu ti renda conto che, vedendoti, io sono tornato a vedere.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e ti giuro che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti ascolterei, perché sei fatta di parole incomprensibili, di fiato che si estingue in vicinanza, di pensieri interrotti e di risate che se ne vanno, che se ne stanno al vento come vele, come bandiere di isole straniere e nastri rosa, di raso, tra i capelli delle bambine più belle.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e ribadisco che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti toccherei, come fa il primo bacio, come pure fa l’ultimo, sempre sfiorando la vita tutta intera, nel moto ondoso del suo bel venire, del suo lieve svanire.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e ti garantisco che non ritengo necessario farlo, semplicemente ti penserei, perché come un dialogo terso sui massimi sistemi tu cadi piano fra tenere ombre, che si aggirano a volte interrogando, tutte sole, persino il silenzio del mondo.
Se mai dovessi dirti perché ti amo, e penso sul serio che non sia necessario farlo, semplicemente ti amerei, come una piccola verità priva di dubbi e altrettanto spoglia di certezze, e lo farei da uomo felice al di là della gioia tanto quanto da uomo infelice al di qua della tristezza, finché veramente non mi bastasse soltanto sapere che vivi.
Ecco perché non ti dico mai che “ti amo”: non te lo dico perché sono io stesso, che amandoti vivo, il mio amore per te.”
(estratto dal secondo volume)
©Andrea Rossetti