Man mano che, col trascorrere delle settimane, le loro vite si distanziavano da quegli avvenimenti e, per così dire, li mettevano a fuoco, la figura e il ruolo di Francis nella vita di Peter, seguendo un ordine inverso rispetto a quello che in origine sarebbe stato naturale attendersi, si preparava a percorrere il filo dell’orizzonte sentimentale nel senso di una decisa semplificazione, di un assottigliamento imprevisto del quale il tennis, almeno per qualche tempo, sarebbe stato ancora una volta il protagonista principale.
Da suo migliore amico, infatti, corresponsabile di un affiatamento che, non potendo adagiarsi sulle formalità anagrafiche come quasi tutte le vere parentele, godeva di un’intimità vivace e molto più che fraterna (la quale aveva toccato il suo apice naturale nell’episodio, tanto unico quanto simbolicamente definitivo, della fellatio che Peter si era lasciato fare da lui), Francis si sarebbe nel tempo trasformato, a causa del lento ma deciso prevalere nel contesto del loro legame d’amicizia delle occasioni d’incontro e di dialogo legate alle ambizioni sportive di entrambi (in verità soprattutto di quelle di Peter), nel suo avversario e allenatore favorito, e questo mutamento – all’apparenza drastico e che un punto di vista ordinario giudicherebbe senz’altro avvilente rispetto alle ben più profonde implicazioni affettive che erano state predominanti in precedenza – sarebbe avvenuto in realtà senza fratture traumatiche, in quanto punto d’arrivo di uno di quei rari processi evolutivi delle relazioni umane ispirati alla chiarezza della verità anziché, come troppo spesso succede, agli struggimenti del desiderio.
L’assoluto e limpido entusiasmo del loro originario sentimento d’amicizia, infatti, dopo aver urtato contro l’impossibilità di un’evoluzione della sua pienezza in senso amoroso (cosa che Francis, sentendosi legato a Peter ben più di quanto egli non si sentisse coinvolto da lui, avrebbe desiderato oltre misura e che, almeno all’inizio, allettato dai caotici istinti di un’età ancora acerba e sospinto dalle gioie morbose dell’autocompiacimento giovanile, lo stesso Peter non aveva contrastato con l’opportuna franchezza, mitigando al contrario le reazioni spiacevoli che gli venivano dalla sua natura di eterosessuale con l’ambigua euforia derivante viceversa dal momentaneo appagamento di un tormentato narcisismo da maschio dominante, prima di allora sistematicamente avvilito dalle molte fragilità e timidezze con le quali, in quanto dirette conseguenze della sua storia di orfano, gli toccava suo malgrado fare i conti), aveva sofferto in principio di un doloroso contraccolpo, denso di raggelante imbarazzo, e, salvandosi solo grazie al diradamento delle occasioni d’incontro, era poi riuscito nondimeno a farsi carico con successo della fatica necessaria alla scoperta di tutto ciò che, da sempre differenziandoli inesorabilmente, era stato all’origine di quel rovinoso fraintendimento. In realtà Peter era stato più volte sul punto di considerare conclusa per sempre l’esperienza della loro pur bella amicizia poiché, sebbene fosse ancora molto giovane, aveva già sufficiente perspicacia per capire che lo spirito spensierato di cameratesca fratellanza che l’aveva contraddistinta sino a quel momento era oramai definitivamente perduto: erano andati troppo oltre e l’idea di affievolire ogni cosa a poco a poco in freddi tentativi di nostalgica reviviscenza sempre più imbarazzati e precipitosi, un po’ come capita al ritmo dei passi di certe passeggiate lungo i viali dei giardini di Kensington, quando d’inverno l’oscurità impaziente della sera cinge repentinamente la compattezza serafica della nebbia evocando ombre tutt’intorno e fuorviando la vista con lucori incomprensibili, alla maniera di uno specchio ossidato appeso alla parete di una stanza buia, gli sembrava, in definitiva, una soluzione ben più mortificante rispetto a un perentorio taglio netto; d’altra parte, lo stesso Francis, addolorato e ferito nel suo amor proprio dal dietrofront di Peter che, malgrado questi protestasse la sua innocenza, si ostinava a considerare alla stregua di una presa in giro, pareva propendere istintivamente per questa alternativa.
Di fatto una sorta di sostanziale interruzione nei loro rapporti c’era poi stata per davvero, perché l’abbaglio che li aveva precipitati con tanta superficialità in un’avventura dalle conseguenze imponderabili esigeva nell’immediato un risarcimento psicologico, necessario a rendere verosimile la successiva ricerca, a metà fra l’istinto e la riflessione, di nuovi possibili equilibri, ovvero di centri di gravità alternativi per il futuro – qualora un futuro avesse potuto esserci ancora – della loro amicizia, così come la cura e la ricucitura di una brutta ferita non possono prescindere da una profonda e non di rado dolorosa disinfezione praticata a lembi ben divaricati.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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