“Amico mio, il brutto straripa per vocazione, esso è invasivo e invadente, è la cifra incisa nei ricordi scomodi, la marchiatura a fuoco della vita vera. La bruttezza impone scelte, determina la memoria, ispira il giudizio, marcisce nell’irremovibilità fluente del quotidiano. Il brutto falsifica liberamente, fa il suo comodo a nostro comodo. Contro ciò che è brutto la bellezza non è che una fiammella, affidata al buon cuore del vento della tormenta, un’aura piccola, un fiato di luce intorno alla notte che l’ansia, gli affanni e le ferite costringono a respirare piano, per non finire anche strozzato. La bellezza è il tempo che sappiamo strappare alla tempesta…”
“Tu quindi – lo interruppe Francis – non credi che ci possa essere qualcosa di eterno, non credi all’eternità della bellezza, ridi dell’eternità dell’amore ed escludi anche a priori che il bene e il bello siano i vertici della nostra vita, la sua verità definitiva! Eppure quando ci alleniamo c’è in te, e io lo vedo perché in campo sono il meno bravo tra i due unicamente perché il mio sguardo è incapace di non sovrastarci anche un po’ dal di fuori, come succede solo a quelli nati per essere dei buoni giocatori ma ancora di più dei grandi allenatori, qualcosa di incredibilmente perfetto che va al di là dello stile e della tecnica e che evoca l’integrità di un raggio di luce quando il sole è allo zenit rispetto all’orizzonte. Il tennis, me l’hai insegnato tu, non si esaurisce nel fatto sportivo, nella partita come evento atletico, ma è una storia di solitudini e di geometrie, di propensioni e di adattamenti, di tornei strutturati come rette parallele che non devono incontrarsi all’infinito ma in finale, di stagioni programmate con uno spirito anarchico di sottrazione rispetto all’invadenza impersonale dei calendari. Il tennis non è biologico né naturalistico ma è epico e storico, e quindi?”
“E quindi ho ragione io!” rispose Peter abbastanza frastornato da quel suo improvviso sentimentalismo che non riusciva a spiegarsi né a giustificare. “Sei tu che leggi la mia idea di tennis in modo spirituale mentre non lo è affatto! Eterno non è ciò che non ha inizio né fine, eterno è ciò che non avendo inizio non ha neppure fine, in quanto non può finire ciò che non è mai cominciato. Tra i due eventi c’è un nesso causale, non una semplice relazione di fatto come invece piacerebbe a te, e tale nesso non è speculare e reversibile. In altri termini, amico mio, non si può dire con identica esattezza che eterno è ciò che non avendo fine non ha neppure inizio, perché l’implicazione di necessità non sussiste: mentre ciò che finisce ha certamente avuto un principio, ciò che ha un’origine potrebbe anche non finire. Soltanto in una dimensione puramente spaziale e non anche temporale potremmo ammettere, per esempio, che il punto x dal quale Jimmy Connors fa partire un perfetto rovescio lungolinea all’infinito possa essere ammesso anche come il punto nel quale termina la semiretta medesima dall’infinito, perché ciò esclude lo scambio – cioè la partita, la vita reale – dal quale si produrrebbe invece una nuova e diversa semiretta che ridurrebbe la prima a un semplice segmento, e implica il colpo vincente, che però a sua volta chiude lo scambio, facendo ricadere ancora il tutto nell’attribuzione fatale di un suo tempo. Il concetto di eternità contiene semanticamente quello di tempo, dal quale dunque non è logicamente possibile prescindere.
La centralità del concetto di origine rispetto a quello di eternità è totale: eterno è ciò che non ha origine, che non è mai iniziato né mai inizierà. Tale centralità è quindi definibile in negativo, come assoluta e definitiva mancanza. Non c’è tennis nell’eternità e, quindi, non c’è partita né vita. Tutto questo si traduce nella necessità dell’inesistenza: ciò che si dice essere eterno, non avendo assolutamente origine, è anche con assoluta certezza privo di qualsivoglia possibilità logica di esistere. Chi parla di “esistenza” di Dio, per esempio, di fatto si contraddice nell’atto stesso di parlare: per questo è possibile affermare con assoluta certezza l’impossibilità della teologia che vale, se vale, alla stregua di qualsiasi altro esercizio di letteratura fantastica. Ciò che resta ammissibile è invece il misticismo, la contemplazione silenziosa del mistero, del concetto dell’essere senza esistenza, quasi come l’idea di Grande Slam dopo Rod Laver”.
(estratto dal secondo volume)
©Andrea Rossetti