L’UOMO DISINCANTATO – Le estremità dell’amore (2)

Ma quando la Lady, così come la frivolezza melliflua del suo gesto lasciava d’altro canto presagire sin dall’inizio, con perfetto equilibrio, cioè senza eccedere né in languori istintivi né d’altro canto in chiari propositi di seduzione, ben consapevole dell’innata fatuità quotidiana che marchia da sempre il fuoco dei sentimenti migliori, si era decisa infine a lasciarsi andare alla sdrucciolevole e limacciosa insulsaggine di un approccio chiedendogli nemmeno troppo a bruciapelo se la trovasse davvero bella, Peter, investito da un profluvio imprevisto di sensazioni sgradevoli e dopo aver ripreso il controllo di sé grazie ad alcune ore di astinenza dal D.O.G., si era aggrappato, un po’ come Harold Lloyd alle lancette dell’orologio nella sequenza più famosa di “Safety Last”, a una recrudescenza incredibilmente imperiosa del disincanto, costringendo ogni suo sentimento a rannicchiarsi in posizione fetale nel grembo parimenti puttanesco e materno di un’esemplare malinconia d’occasione, con l’intento, più intuitivo che razionale, di godere del refrigerio di una strana quiete – molto simile a quella di un piccolo e soleggiato cimitero di campagna, uno dei tanti che, solitari e fuori mano, non perdono mai la buona pace schiva del loro agreste abbandono e nei quali i ginepri possono all’occorrenza fare le veci dei cipressi mentre intorno i ciuffi viola dell’erica in fiore ondeggiano al vento sparpagliati alla rinfusa per rendere sopportabile alla nuda terra il più celeste in assoluto tra i molti silenzi del mondo – già in procinto di propagarsi in seno alla verbosa divagazione che, pronta in quattro e quattr’otto nella sua mente, gli prometteva una sicura via di fuga e soprattutto l’immunità dalla benché minima impertinenza del dolore.
“A proposito di bellezza – sbottò finalmente fingendosi addirittura corrucciato mentre la sua mano cercava senza successo di cingere quella della Lady con l’istintiva ambizione di recuperare almeno la persistenza di una cordialità amorosa nonostante l’ormai inesorabile deragliamento che aveva deciso di imprimere al senso ultimo di quella passeggiata -, io credo che uno degli aspetti più inquietanti del nostro tempo sia la sua occulta rimozione, grazie al riconoscimento, culturalmente tanto imperioso quanto filosoficamente grossolano, di una sua piena riconducibilità al concetto di piacere. In altre parole, oggigiorno sarebbe bello ciò che risulta gradito a un soggetto qualsiasi e che, nel contempo, un altro soggetto qualsiasi potrebbe con altrettanta autorevolezza ritenere brutto. Sì, perché la più clamorosa quanto invisibile conseguenza di quest’atteggiamento sciagurato è la subordinazione della bellezza alla fruizione di qualcuno. Ciò, ne convieni, è in aperto contrasto coi fondamenti del pensiero estetico, non solo dell’epoca classica e medioevale, da Aristotele fino al suo erede cristiano, Tommaso d’Aquino, ma anche dell’età moderna. Per Kant, per esempio, l’oggettività del bello si fonda sul concetto di bellezza naturale e anche le filosofie storicistiche successive, come l’idealismo e la più recente ontologia ermeneutica di Martin Heidegger a del suo allievo Gadamer, hanno sempre escluso la frammentazione soggettiva della bellezza interpretandone anche la storicità o la vocazione epocale in termini certamente e comunque oggettivi…”
La Lady seguiva a tratti quell’improvviso flusso di parole con uno sguardo vago, liquido, dolcemente frastornato, e poi tornava sempre a fissare un punto qualsiasi di fronte a sé, un ideale moscerino dell’uva, aguzzando il suo profilo come fosse quello di una volpe. Peter intanto continuava a parlarle, reso oramai spietato nella sua determinazione da una specie di ebbrezza distruttiva, da una sete ardente di cupio dissolvi: “Questo atteggiamento così aggressivo del soggetto è uno dei sintomi più evidenti di una coscienza ormai regredita, che percepisce la propria condizione non solo al di là della metafisica ma di tutta la filosofia, ispirata com’è dalla prevaricazione dell’informazione sulla cultura. È per questo che non sopporto i giornalisti: sono loro i sacerdoti di questa nuova religione, i professori di questa disgraziata e miserabile accademia!”
“La verità è tutto ciò che non sai di non sapere, ricordatelo…”, gli sussurrò a un certo punto la Lady aprendo una fessura nella sua granitica riservatezza senza comunque perdere di vista – sottecchi – il suo piccolo e volteggiante moscerino dell’uva. Peter replicò dopo essersi concesso un breve gesto di stizza: “Ma certo! Mi conosci, diamine, pensi forse che chi ti sta parlando sia un uomo ottuso o, peggio, un religioso? Questo però non giustifica comunque l’arbitrio di un soggetto che si identifica con la cronaca, che la fa propria, che baratta la qualità sofferta del sapere critico con la quantità adulterata del sapere informato! Così facendo si pone, appunto, in una condizione anti-filosofica anziché, come invece sarebbe giusto, ultra-filosofica, e fonda il concetto di bellezza sulle dinamiche della percezione relativa e quello di morale sulla banale regolamentazione etica rappresentata dal diritto!”
“In altre parole vuoi dire che la strada è sbagliata ma la direzione invece è quella giusta?”, chiese la Lady mentre, sorridendo ai bagliori e alle scie spumeggianti della luce e ipnotizzata dal piacere del vuoto, tendeva l’indice della mano destra come per tratteggiare sull’aria l’impronta del volo del suo moscerino dell’uva.
 “In parte sì, voglio dire esattamente questo. Proseguendo su questa strada, infatti, l’unico risultato possibile sarà che la relazione classica tra soggettività e oggettività si deteriorerà sino a confondersi con quella, ben più nebulosa e approssimativa, che c’è tra l’individuo e la società, nell’ambito della quale l’estetica vaga e selvaggia del primo è regolata solo dall’etica del tutto amorale, e quindi rozzamente legale, della seconda. Come questo disastro produca una falsa estetica in tutto e per tutto anti-filosofica è facilmente dimostrabile, non credi? È sufficiente, infatti, rilevare come nell’estrema indeterminatezza del concetto di piacere finisca in un grande calderone l’intero arco delle più diverse fruizioni soggettive. In altre parole, se la bellezza di un’opera d’arte dipende dalla piacevolezza che produce in un singolo soggetto sarà poi complicato distinguerla, per esempio, dal cibo preferito o da un amplesso amoroso pienamente appagante. Siamo di fronte al decadimento utilitaristico di ogni ambito spirituale, abbiamo sancito l’assoluta solitudine del soggetto di fronte a se stesso e al proprio gusto, a un’onnipotenza individuale resa culturalmente ininfluente proprio dalla disorganica mancanza di riconoscibili limiti dialettici…”
A quel punto la Lady lo guardò nuovamente, come se fosse diventato lui il suo moscerino dell’uva, e gli disse: “Io, e ti garantisco che mi basta, mi accontento di vivere anche solo per salvare due gocce d’acqua dal loro destino di uguaglianza…”; e d’un tratto, ricostruendo le fondamenta delle loro primitive intenzioni, prese lei la mano di Peter nella sua, non prima però di aver graffiato il palmo di entrambe con una delle sue unghie perfettamente arrotondate e smaltate di rosso cremisi.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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