L’UOMO DISINCANTATO – L’astrazione del dolore (4-fine)

Una volta tornati a Londra, mentre entrambi fluttuavano su una girandola crepuscolare di pacche sulle spalle e di sorrisi guasti, si congedarono abbandonandosi all’imbarazzata sciatteria vocale di un cicaleccio cacofonico fatto di “Beh, allora ci vediamo presto…”, “Mi raccomando non sparire…”, “Alla prossima occasione…”, che in realtà avevano un unico e condiviso sottotesto: “Ora, per un bel po’, che ognuno se ne resti a casa sua”. Fissi su Peter, gli occhi di Francis scintillavano di una paura repressa e poi domata e gli trasmettevano l’identica sensazione di calma, nel contempo mesta e conclusiva, di un mucchietto di cenere rimasto sul fondo di un camino, modellato dalla soffice volatilità di ondulazioni grigiastre e indifferente al potere di quel fuoco che la sua stessa esistenza ha ormai reso inerte.
Quella fu l’ultima volta che si videro e in seguito Peter non seppe mai che fine avesse fatto il suo amico, se fosse ancora vivo oppure morto, e nel caso da quanto tempo e come. Francis scelse o accettò semplicemente l’idea di volatilizzarsi per tutti nello stesso momento, con la malinconia imperiale di un vero zar, senza riservare privilegi ad alcuno dei pochissimi amici che gli erano rimasti. Alcuni mesi più tardi, dopo essersi reso conto quasi di soprassalto di non avere avuto più sue notizie dal giorno del loro commiato in aeroporto, Peter tentò diverse volte di telefonargli senza mai ricevere risposta. Allora provò a fargli visita ma già dalla strada si accorse subito che le finestre della sua abitazione erano tutte ben serrate dalle tapparelle, come succede quando chi vive in un appartamento lo chiude con cura prima di partire per le vacanze o comunque perché ha davanti a sé la prospettiva di un’assenza prolungata; quando suonò il campanello, infatti, nessuno venne ad aprirgli. La portinaia dello stabile, una cinquantenne grassoccia dal viso burbero ma dai modi inaspettatamente gentili, gli raccontò che ogni giorno, da qualche settimana, un agente immobiliare accompagnava in visita alla casa dei possibili compratori e, supponendo che anche lui fosse un possibile acquirente (cosa che Peter, in considerazione del clima confidenziale che si era instaurato con la donna, preferì non smentire), volle accattivarsi in anticipo le simpatie di un eventuale condomino riferendogli ogni dettaglio utile alla compravendita. Stranamente, però, lo fece senza menzionare neppure una volta il nome di Francis, come se lui, perlomeno di fronte ai suoi occhi pur ben allenati dalla diffidenza e dalla curiosità, non fosse mai esistito.
Da diverso tempo ormai anche il numero telefonico di Francis era scomparso dagli elenchi: era un numero ufficialmente morto, o, meglio, che aveva smesso di essere in relazione con la realtà, perché la compagnia telefonica non l’aveva più assegnato a un altro utente; eppure a volte Peter insisteva a comporlo abbandonandosi a un’insolita caparbietà e per il solo gusto di farlo, mosso da quel sentimentalismo domestico della memoria che con una certa incuria lessicale si è soliti chiamare nostalgia; lo sentiva squillare, sapendo bene che si trattava di una finzione, di un segnale acustico lanciato al nulla verso nessuno, e quindi presto cessare all’improvviso; e quella prescritta fine repentina lo rasserenava ogni volta perché restituiva al suo orecchio un silenzio assolutamente piatto: quello di una presenza finalmente felice di poter tacere, addirittura senza doversi tradire respirando.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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