L’UOMO DISINCANTATO – L’entrata in scena del Club dei Porno-Malinconici

Durante la seconda riunione del comitato per le celebrazioni del grande torneo del centenario, nel corso della quale si era stabilito di discutere soltanto dell’assegnazione delle cariche rimaste vacanti e – cosa ben più importante – della formazione e dei compiti specifici di tutte le varie sottocommissioni, come da precise istruzioni messe nero su bianco nientemeno che da Sua Altezza Reale il Duca in persona, accadde un fatto piuttosto increscioso che indusse Lord Finnegan a convocare Peter al castello con la massima urgenza ‘per essere messo al corrente’, formula che, nella sua accurata freddezza burocratica, intendeva manifestargli tutto il biasimo del segretario generale del comitato non solo per aver disertato l’assemblea ma soprattutto per lo scarso entusiasmo messo in mostra sino a quel momento rispetto alla prestigiosa iniziativa.

Consapevole del fatto che la sua scontentezza nei confronti dell’atteggiamento di Peter fosse giunta a destinazione per intero insieme al messaggio d’invito, Lord Finnegan, che si riteneva un fine psicologo “da campo”, cioè in pratica abilissimo anche se privo di preparazione tecnica e di titoli accademici, pensò di sorprenderlo al suo arrivo tralasciando di bacchettare ulteriormente il suo scarso impegno e glissando con un sorriso sulla tentazione di enumerare tutte le gravi carenze che aveva manifestato in qualità di suo referente di fiducia.

“Ha saputo del disastro?” aveva esordito invitando Peter con un gesto cortese della mano a sedersi su una delle poltrone poste di fronte alla sua scrivania.

“Francamente no.”

“Un’autentica catastrofe, vecchio mio, una rovina! Spero solo che il fatto non arrivi alle orecchie di Sua Altezza Reale perché finirei per essere considerato io l’unico responsabile, il cosiddetto capro espiatorio, lei m’intende…”

“Ma cos’è successo?” domandò Peter a quel punto sinceramente incuriosito.

“Il fatto è – vede – che io presentivo di non dover assegnare a quella sciagurata di Miss Boot la carica di sottosegretaria facente funzioni, ma poi – sa come vanno queste cose – veniamo accusati di maschilismo e di chiusure reazionarie – come se non bastasse già il tanfo dell’antisemitismo che ci pende inverosimilmente sulla testa – e la stampa laburista ci va a nozze! Beh, insomma, per farla breve, a riunione appena cominciata c’è stata un’irruzione di esagitati nella sala che la sottosegretaria facente funzioni non è ovviamente riuscita a tenere sotto controllo come avrebbe dovuto…”

“Che irruzione? Di chi?”

“Mah, una cricca di membri temporanei del Club, tutti ovviamente molto giovani, infuriati per la loro esclusione – che invece in base allo statuto è sacrosanta – dal comitato per le celebrazioni del centenario. Ci mancavano solo i giacobini qui a Wimbledon, vecchio mio! Non indovinerà mai come si fanno chiamare questi poveri mentecatti…”

“In effetti, non ne ho la più pallida idea…”

“Il Club dei porno-malinconici!”

“E che hanno fatto?” chiese Peter sforzandosi di distorcere un sorriso in una smorfia indefinibile.

“Hanno sbarrato le porte della sala, simulando una specie di sequestro terroristico dei membri del comitato, ai quali hanno poi distribuito un manifestino ciclostilato costringendoli a leggerlo tutti quanti insieme e ad alta voce!”

“Come a scuola…”

“Non faccia dello spirito fuori luogo, giovanotto! La faccenda è grave e c’è ben poco da ridere!”

“E cosa c’era scritto sul manifesto?”

Senza fare altri commenti e con visibile nervosismo, Lord Finnegan allungò verso Peter un foglio di carta giallina, quindi si alzò bruscamente dalla sedia della sua scrivania e, dandogli le spalle per fargli pesare il dispiacere che soltanto la sua presenza all’avvenimento gli avrebbe potuto risparmiare, rimase fermo in piedi di fronte alla grande finestra tripartita che scandiva l’intera parete di fondo del suo studio.

Il “manifesto” del Club dei porno-malinconici, che contestava duramente la legittimità del comitato per le celebrazioni del centenario del torneo, si componeva in tutto di quindici affermazioni di principio:

  1. Noi non vogliamo celebrare nulla e in nessuna forma, perché nulla che abbia una forma è credibile, perché ogni essere umano è ontologicamente stonato come una campana: coi cosiddetti nobili sentimenti si abortisce ciò che è sano così come coi crimini efferati si partoriscono deformità.
  2. Un’azione veramente innovativa è solo quella che non costruisce niente.
  3. Se l’amore è dalla parte di chi perde, allora l’odio dovrebbe essere dalla parte dei vincitori: a questa viziosa solidarietà, alla sindrome di Stoccolma che nega la storia dello sport, noi rispondiamo con la cronaca infondata dei nostri testardi allenamenti solitari.
  4. Noi affermiamo che la bellezza di una partita per essere tale non può essere anche assodata e che essa possa essere colta solo da menti adeguatamente malate.
  5. Noi inneggiamo a tutto ciò che sparisce: alla monaca claustrale e all’ergastolano che non giocheranno mai più in vita loro una partita di tennis.
  6. Il perfetto tennista disconosce il suo corpo, la sua presenza, perché al di fuori di tale sconfessione il pudore legittimerebbe la depravazione e viceversa. L’antitesi produce significati e i significati giustificano il potere politico che non coincide mai con la potenza atletica.
  7. Il vero tennista sa che non vi è nulla di magnifico nelle voglie: ogni azione della volontà, indipendentemente dai suoi contenuti, che ne costituiscono solo l’estetica provinciale, produce in sostanza un’inezia consolatoria a uso e consumo dei tanti uggiosi e identici beghinaggi del vizio e della virtù.
  8. Nel tennis noi vogliamo glorificare ogni atto che non diventa un’azione.
  9. Noi, da tennisti integrali, rinneghiamo il sociale, lo stato, la solidarietà pubblica, il lavoro e invitiamo tutti gli spettatori dell’esistente a togliere dagli spalti il cattivo teatro delle loro ipocrite rappresentazioni in vita.
  10. Noi siamo indifferenti a ogni finta gioia interiore provocata dall’osservanza o dalla trasgressione delle regole da parte dei giudici, di linea e di sedia.
  11. Sono tutte meritevoli di disgusto quelle creature che nutrono aspirazioni temporali diverse dalla vittoria e fiducia nella supremazia della forza della volontà su quella della tecnica, che poi tali creature siano moralmente candide o sudice è un problema rilevante soltanto per le lavanderie religiose.
  12. Noi non perseguiamo ideali o nozioni di bellezza stilistica: tale bellezza, se c’è, è insondabile e immediata, quindi estranea ai cataloghi, realistici o idealistici, compilati in bella calligrafia per i tanti e troppi estetismi degli eleganti parassiti della cronaca sportiva.
  13. Fuori dal campo noi aborriamo indistintamente i volti, i corpi, le movenze, le estetiche, il gusto, le posture, gli olezzi, le voci.
  14. Per noi reale e irreale costituiscono il Giano bifronte dell’unico avanspettacolo metafisico, e parimenti lo splendore e la miseria sono, come intese Honoré de Balzac, attributi consoni solo alle cortigiane. Noi non siamo e non andiamo da nessuna parte, siamo nient’altro che matematica atletica, astratti e concreti, enormemente simmetrici negli scambi sul campo nei quali soltanto esistiamo.
  15. Per noi l’ossimoro è figura perfetta della verità: ciò che essa è, però, interpella soltanto la nostra privata autodistruzione.

Quando Peter terminò di leggere, Lord Finnegan lo invitò con un cenno ad accostarsi e gli disse poi sottovoce, forse per timore di scandalizzare lo spirito evidentemente impressionabile dei propri lari, di sospettare, disperando di sbagliarsi, che i porno-malinconici fossero addirittura in gran parte dei militanti repubblicani. E infine tacque; non prima di aver bisbigliato però una volta ancora ‘addirittura’ tra sé e sé, con lo sguardo rivolto al soffitto e nel corso di un lunghissimo sospiro di sdegnata inquietudine, lasciandosi poi cadere come un corpo morto sull’altra poltrona, che all’impatto rispose appena sbuffando dai cuscini.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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