L’UOMO DISINCANTATO – La Lady, un’educazione sentimentale (2-fine)

Era accaduto durante uno qualsiasi degli anni più schietti e sorprendenti della sua prima adolescenza, quando un incanto eroico segregava ancora ogni cosa nel suo abbraccio affannoso e robusto. La Lady viveva in quella casa coi genitori e la sorella Emily e guardava con ingenuo sospetto il fiorire vertiginoso della propria bellezza, tanto simile a quella di una Madonna dolorosa cattolica, destinata a sovrastare con uno stato perenne di malinconia statuaria sia il fascino che la sofferenza. Ai ragazzi, che tentavano di raggiungerla con sempre maggiore insistenza, lei, segregata da un pudore indecifrabile e dalla cortina di una rigorosa educazione borghese, si concedeva sempre a debita distanza, percorrendo da funambola il filo di una sensualità idealizzata, la stessa che, unendo per vie occulte e solo superficialmente tangibili la terra e il mare, il sole e i pianeti, l’anima e il corpo, il pensiero e la parola, rende indifferentemente possibile, tra miserie e splendori, la messa in opera di tutte le cose.
All’epoca, la Lady era ancora una grande amante di libri. Anzi, da uno in particolare era addirittura ossessionata e non lasciava trascorrere un solo giorno senza dedicare un po’ del suo tempo libero a rileggerne qualche pagina o addirittura dei capitoli interi (in seguito, a partire proprio dall’evento che aveva cambiato la sua vita, di quel libro appena più voluminoso degli altri sarebbe riuscita a scordare persino il titolo, fino a decidere di disfarsene del tutto, abbandonandolo per pochi spiccioli agli scaffali polverosi di una libreria dell’usato senza alcun riguardo speciale, come un nobile decaduto, insieme a tanti altri più ordinari fratelli di sventura, soltanto per fare spazio all’avanzata inesorabile degli album pieni di ritagli di carta).
L’avvenimento che dentro di lei avrebbe poi rovesciato per sempre ogni punto di vista nel momento esatto del suo primo radicalizzarsi era legato alla scoperta della musica.
Durante gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, infatti, la Lady era stata delicatamente perseguitata da uno strano suono: un sibilo remoto che attraversava con discrezione l’impasto sonoro nel quale da quelle parti ogni rumore andava a fondersi con la voce del mare, e che aveva finito con l’incuriosirla. I suoi genitori, ai quali aveva chiesto di confermare quella sua strana percezione, le avevano ripetuto più volte di non udire niente di diverso dal solito, liquidando le sue domande con la tipica sufficienza condiscendente degli adulti, che è poi quella di chi è abituato a sopportare in modo assennato e responsabile la disperazione connessa col carico gravoso delle questioni che in genere sono ritenute importanti.
Giorno dopo giorno, però, e senza dare peso allo scetticismo affettuoso dei suoi genitori, si era convinta che in qualche modo il suo sibilo avesse a che fare con gli angeli: doveva trattarsi senz’altro del frullare ultraterreno delle loro ali piumate, simili a quelle che i pittori antichi avevano dipinto sulle pareti e sulle volte delle chiese.
Decise allora di seguire quella traccia sonora, sognando di poter giungere così fino a un bellissimo angelo, magari proprio al custode della sua stessa anima, del quale sentiva di essere già innamorata. Per quanti sforzi facesse, però, ogni ricerca, tiepida o entusiasmante che fosse, andava a finire sempre nello stesso modo: in una stanza vuota, in un vicolo senza uscita, nel mezzo di una strada qualsiasi oppure in riva al mare.
Una volta, però, la sua caparbietà la portò fin dentro uno dei tanti edifici che sorgevano intorno alla sua casa.
Evitando di incontrare il portiere per non dover dare spiegazioni, iniziò a salire le scale e con grande stupore si accorse che il sibilo si faceva finalmente più denso, componendosi di altri suoni – gli angeli! gli angeli! – e rivelando armonie interne sempre più nitide e decifrabili. Il sibilo divenne poi musica vera davanti a una delle due grandi porte scure degli appartamenti del quarto piano. Quando suonò il campanello le venne ad aprire una donna dai capelli grigi che portava un abito con grandi fiori immaginari e non particolarmente graziosi stampati sopra e uno scialle di lana bianca sulle spalle. Dietro la porta aperta lei non udiva ormai altro che musica: niente più sibilo misterioso, niente più angeli. Si scusò per il disturbo e disse solo che amava quella melodia, quindi con educata spensieratezza chiese all’anziana signora di cosa si trattasse. La donna fu molto gentile e sorridendole sotto uno sguardo appena corrugato dall’abitudine al soprappensiero le spiegò che era una serenata molto famosa di Mozart intitolata Eine Kleine Nachtmusik: era l’unico disco della grande collezione del marito che le era rimasto (“…lui era bravo maestro di musica, sa? quando è morto vendendo tutti i dischi più rari e pregiati e il suo pianoforte gran coda da concerto sono riuscita a malapena a pagare i nostri debiti…ma questo no, almeno questo e il giradischi li ho tenuti…lo ascolto in continuazione, in sua memoria, e ormai è così rigato che fra un po’ sarà da buttare, ma, mi guardi, sono così malandata che forse avrò la fortuna di riuscire a morire prima che succeda!”)
Tornata a casa, la Lady aveva ritagliato per la prima volta dal giornale di suo padre la data di quel giorno: all’inizio l’aveva fatto per ricordare una storia che l’aveva commossa ma in seguito quel gesto più che un’abitudine era diventato per lei una necessità morale. Da quel momento il tempo, dopo avere tanto inghiottito e molto cancellato, aveva iniziato a danzare una spirale infinita per il suo cuore di donna incline a perfezionare un punto di vista sempre più distante da tutto. Proprio grazie a quei piccoli ritagli di carta, meticolosamente colmi di nomi di mesi e di numeri ininterrotti, lei sentiva ancora di avere per intero la sua vita sotto gli occhi, come se fosse immune da cesure. Poteva sentirla frusciare libera nelle pagine degli album ricolmi di date e quindi immaginare di aver tentato in qualche modo un percorso a ritroso, da Mozart al frullo delle ali degli angeli, deragliando pian piano, un poco, ma solo un poco, ogni giorno, fino a scoprire che la vera saggezza consiste semplicemente nel sapersi ingannare sottovoce, senza insistere per tutta la vita a cercare qualcosa d’importante solo per non sentirsi costretti a trovarlo per davvero.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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