L’UOMO DISINCANTATO – Io e Sean diventammo compagni di scuola (2)

Devo confessare che, al di là del suo aspetto fisico, non mi sentivo attratto in modo particolare da lei in quanto persona dato che, ostentando spesso e volentieri una frivolezza troppo naturale per essere anche vera fino in fondo, aveva la fastidiosa abitudine di civettare con tutti e io, sempre in debito col mio carattere schivo e disposto a cedere all’esibizionismo soltanto nei momenti di autentica esasperazione in cui mi vedevo obbligato a reagire, un po’ per desiderio e un po’ per forza, ai rigori eccessivi della mia riservatezza, non me la sentivo proprio di competere con la torma chiassosa di bulli e di tipi azzimati che parevano prodotti in serie solo per soddisfare la sua vanità nel fare a gara per piacerle e per attirarne l’attenzione.
Nonostante ciò, a causa forse del perdurare di un istinto da gregario che ero comunque destinato a perdere molto presto, la mia ammirazione nei confronti di Sean era cresciuta a dismisura non appena mi aveva confidato che Christa era la sua fidanzata già da alcuni mesi. Ancora oggi, se ripenso a quel momento, lo metto accanto ai pochissimi che nel corso della mia vita sono riusciti a scuotermi completamente con un intimo groviglio perfetto fatto di pieno coinvolgimento e di stupore.
Manco a dirlo, Christa e Sean si incontravano ogni giorno dalle parti del vecchio “CineMoon”, davanti al campo da tennis, cioè proprio nel luogo in cui, grazie a me, si erano casualmente conosciuti e dove, per tutto ringraziamento e con l’istintiva ferocia, impastata di distrazione e noncuranza, che caratterizza l’attitudine dei ragazzini all’egocentrismo più smodato, avevano subito ritenuto di dovermi infliggere il dolore acutissimo della certezza di essere di troppo, quasi chiedendomi insieme, soltanto col loro progressivo disinteresse e senza quindi sentire neppure il bisogno di rivolgermi la parola per assumersene quanto meno con sfacciataggine la responsabilità morale, di avere l’intelligenza o anche solo l’amor proprio di farmi da parte.
Ovviamente si davano appuntamento lì con la scusa del tennis per evitare di dover dare troppe spiegazioni ai rispettivi genitori, che altrimenti avrebbero potuto fare domande e creare problemi, e Christa era stata fino a quel momento l’unica persona alla quale il mio amico si era sentito davvero libero di confidare i dettagli del suo piano. Ma quale piano? Sean continuava a parlarmene senza concedermi mai l’appiglio di una precisazione e io d’altra parte non ero capace di trovare il coraggio di fargli delle domande in proposito. Davanti a lui mi succedeva ancora piuttosto spesso di non riuscire a trovare il bandolo di una spigliatezza perlomeno accettabile: era a causa dell’aura di maturità tipica di Sean che, diversamente da me, riusciva a trasformare anche le ombre della sua cruda timidezza da irlandese in una cosa da adulti, come a quei tempi mi apparivano – per esempio – fumare il sigaro o andare al pub a bere del whisky. Alla fine di ogni nostra chiacchierata la questione del suo piano rimaneva sempre e comunque in sospeso, priva di dettagli, e il discorso scivolava più o meno naturalmente su ciò che gli premeva sul serio: mi chiedeva infatti, raccomandandosi a lungo, di prendermi cura di Christa perché lui stava per fare qualcosa che non sarebbe rimasto privo di gravi conseguenze.
Mentre, ascoltandolo, lo guardavo e come al solito mi dibattevo tra i lacci segreti della mia incapacità di trovare un discorso decente da fargli, lui mi preveniva sempre, pregandomi di non porgli domande inutili e di limitarmi invece alla promessa, resa sacra dalla nostra amicizia, che in futuro la sua ragazza avrebbe potuto contare su di me per farsi coraggio. Poi, lasciando che i suoi occhi s’illuminassero per un attimo di un’incredibile pace, assoluta e vera nel suo propagarsi all’esterno proprio mentre veniva ripiegata su se stessa dalla consistenza quasi floreale di un lungo sospiro, a volte soggiungeva a bassa voce che lui non avrebbe più avuto altre fidanzate e che comunque si considerava oltremodo fortunato per aver conosciuto, nonostante la sua età, l’amore vero, l’amore definitivo che anche una lunga vita concede di rado e a volte addirittura mai. In quelle occasioni, man mano che continuava a parlarmi, la grande pace iniziale diventava un velo sempre più denso di lontananza che, con la stessa lentezza inesorabile della foce di un fiume quando si espande gravida sopra tutta la terra che riesce a sommergere nei dintorni del mare, si andava impossessando del suo sguardo; e io, infiammato all’improvviso dal sentimento di una superiore intimità, mi rendevo conto di volergli infinitamente bene, come a una risorsa unica per la mia vita, come a una ricchezza tanto grande quanto immeritata, spiegandomi così, tra me e me stesso, proprio grazie alla smisurata importanza del suo affetto, anche la mia solitudine persistente e la cronica incapacità di farmi altri amici (nella mia ingenuità, però, non comprendevo che proprio in quell’allontanamento, tanto luminoso ed emozionante, che allora i suoi occhi disegnavano di fronte ai miei, la nostra amicizia, non diversamente dall’amore per Christa, stava solo seguendo, e forse misurando, un ultimo filo d’orizzonte).
Poiché avevo l’assoluta certezza di non essere dotato in una circostanza come quella (e in chissà quante altre) della passione adatta e necessaria per scostarmi in modo credibile dall’essenzialità del minimo indispensabile, quando infine giungeva il momento – tanto silenzioso quanto palpabile – di congedarmi da casa McNult e mentre faticavo non poco a tenere a bada la sgradevole sensazione di essere sempre sul punto di farlo per l’ultima volta, accettavo comunque di promettere a Sean che mi sarei comportato secondo i suoi desideri e lo facevo quanto meno senza indecisioni, rendendomi conto di rivolgermi a lui imitando il suono pieno della voce di mio padre, che evidentemente custodivo ancora da qualche parte nella mia memoria, come per tessere dentro e fuori di me delle soddisfacenti e forse poetiche simmetrie istintive, dei legami tanto inesprimibili quanto sicuri.

(estratto dal primo volume)

©Andrea Rossetti

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