Le visite della Lady al Digamma Cottage avvenivano sempre in forma strettamente privata e in incognito, trascinandosi dietro un clima di massiccia circospezione che rasentava la paranoia. Ogni volta che, con la lucida pacatezza di un ragionamento o anche solo con qualche sortita ironica, Peter tentava di sdrammatizzare e di alleggerire quell’apprensione sproporzionata da parte della sua amante affinché le ore successive, che entrambi volevano mettere a disposizione di una tranquilla e appartata intimità, potessero trarre vantaggio anche da un’armonia più profonda e in qualche modo addirittura universale che arrivasse a comprendere misteri estremi e volubili come la benevolenza nel mondo e l’allegria sulla terra, lei si adombrava prima di fastidio e quindi di malinconia, finché quella maschera sentimentale di cipria livida discesa tanto compatta sul suo volto non veniva sciacquata via da un’improvvisa pioggerellina di lacrime immaginarie che pian piano rendevano la sua espressione sempre più disponibile alla comparsa definitiva di un vero sorriso.
L’ostinata volontà di riservatezza da parte della Lady non si spiegava però con dei fattori esterni – che ne costituivano al massimo un formale pretesto in coscienza – ma con l’intuitiva considerazione della verità dell’amore come di un nucleo segreto e geneticamente singolare contenuto all’interno del miscuglio insolubile, diverso da persona a persona, di tutte le cellule staminali dell’universo affettivo: emozione, desiderio, attrazione, gelosia, tenerezza, rispetto, abbandono, odio, noia, lutto, paura, empatia, pentimento, disperazione, meraviglia, euforia, sofferenza, nostalgia, rabbia, perdono, vendetta, amicizia, antipatia, simpatia, imbarazzo, gratitudine, invidia, generosità, speranza.
Per lei l’amore non andava grossolanamente identificato con la relazione amorosa, che ne era soltanto un’occasione in linea di fatto e che poteva anche avere, in quanto tale, un suo più o meno discreto carattere pubblico. L’assoluto occultamento nel privato le era indispensabile per riuscire a vedere riflessi nella persona del suo amante – così da provare poi a distinguerli e a ricomporli fino al massimo dell’infinito consentito – i tratti specifici e le qualità uniche dell’ansia sentimentale che portava in se stessa e nella quale il suo modo d’amare più sincero doveva pur annidarsi da qualche parte. D’altro canto era proprio questo per lei l’unico motivo davvero sensato per amare e per essere amata nonché la chiave messa a disposizione del mondo intero per comprendere l’alone di maestosa fuggevolezza che tanto fortemente la tratteneva.
Per la Lady amare Peter era funzionale alla conoscenza dell’amore in sé.
In breve tempo però tutto questo impose anche ai due amanti una sorta di naturale pigrizia ed entrambi iniziarono a condividere il desiderio di allontanarsi il meno possibile dal Digamma Cottage durante i loro incontri. Nella grande camera ottagonale si concedevano tutto il tempo più o meno necessario per guardare fuori, ora l’una ora l’altra terrazza, lasciando che la luce, colmandosi d’infinite sottigliezze cromatiche nel trascorrere comunque teso delle ore e dei minuti, li avvolgesse attraversando le screziature delle grandi vetrate Tiffany per essere da queste a sua volta acquerellata, mentre loro, in silenzio e protetti a vicenda dalla stretta affettuosa delle loro braccia, interrogavano il paesaggio che con l’approssimarsi della sera trapassava rapidamente dal verde al nero e dai bagliori annebbiati di una sorta di polvere d’argento a quelli più nitidi e rassicuranti del cielo stellato. Allora, presi da un innocente tremore, si spingevano con crescente determinazione l’uno verso l’altra, cercando il loro fiato per scaldarsi e finendo per trovare, come l’apparizione splendida del mare al di là delle ultime dune del deserto, il punto d’incontro delle loro labbra, primo fuoco dell’ellisse che, disegnandosi presto e con spigliata libertà, di lì a poco avrebbe trovato anche la naturale simmetria del suo gemello.
In quei momenti Peter e la Lady erano un’altra cosa, un’altra creatura, un ermafrodito lunare generato apposta per precipitare dalla notte alla notte senza mai cadere, tenuto in sospeso da un bozzolo di fili di luce tessuti fra le costellazioni. Non vedendosi si guardavano e ritrovandosi si nascondevano, come due bambini che giocano, al centro esatto della smisurata verità dell’amore dell’uno per l’altra e viceversa. Così come un enunciato che affermi di essere indimostrabile all’interno di un sistema formale significa appunto che esso è vero, dato che non può essere effettivamente dimostrato, Peter e la Lady si chiudevano in loro stessi senza essere in alcun modo circolari, e quindi viziosi, bensì, e con assoluta pienezza, fatalmente conclusivi.
Alla fine se ne restavano immobili, accantonandosi di pari passo e mano nella mano, spensierati in un gorgo d’inerzia sempre più viscosa che li frantumava di nuovo in due parti, senza usare però la violenza di un colpo di scure bensì con l’agilità quasi introversa del tamburellare di uno scalpello. Nel grembo fecondo di quelle notti ogni cosa si addormentava poi in un ossimoro, senza che le contraddizioni generassero più alcun contrasto: ovunque la persistenza ineluttabile dei limiti accadeva felicemente, come un sepolcro scoperchiato da una resurrezione per la gioia del più assoluto smarrimento, e così la commozione finiva per contenere l’allegria, il desiderio la contemplazione, il sonno la veglia. L’universo intero se ne stava disteso insieme a loro, lungo la durata di quel tempo di quiete, discepolo fedele dell’ermafroditismo miracoloso che aveva appena preso congedo dalla loro unione.
Allora gli occhi chiusi della Lady vedevano il buio e quelli di Peter, ancora un poco aperti, guardavano solo lei.
(estratto dal secondo volume)
©Andrea Rossetti