L’UOMO DISINCANTATO – Il professor Wittgenhauer alle prese con l’amore e l’ateismo.

Quando l’agnostico professore universitario di filosofia Arthur L. Wittgenhauer si trovava davanti un religioso oppure un ateo convinto come Elias, cioè uno di quelli che lui definiva “devoti dell’inesistenza di Dio”, come prima cosa assumeva un atteggiamento distaccato e silenzioso, dal quale però lasciava trapelare con studiata noncuranza smorfie e occhiate di derisione. In certi casi, infatti, per lui la condotta più adeguata rimaneva sempre quella dello sberleffo, adottata a suo tempo anche da Euler contro Diderot, quando entrambi si trovavano alla corte di Caterina di Russia. Wittgenhauer non riusciva mai a non ridacchiare di gusto ricordando il famoso: “Signore, (a+bⁿ)/n = x, dunque Dio esiste: risponda!”, col quale il matematico aveva umiliato il suo antagonista, molto più a suo agio con le parole che coi numeri, costringendolo a tornare in Francia in fretta e furia inseguito dagli sghignazzi di mezza Europa.
Wittgenhauer, che si professava del tutto indifferente agli interrogativi della metafisica per il semplice fatto – diceva – che non ammettevano la possibilità di una soluzione certa, sapeva bene tuttavia che un ateo, in presenza di un fedele, pregiudicato sempre in fretta e furia come uno sprovveduto coi calli alle ginocchia e un’opaca vita sessuale, non poteva resistere al capriccio istintivo di far valere la presunzione della propria superiorità intellettuale, così come viceversa un credente, posto di fronte a un ateo, visto a sua volta immancabilmente nei panni di un arido e cinico infelice, non riusciva a non soccombere alla tentazione di convertirlo, confidando senza tentennamenti in una superiorità morale e spirituale non meno presunta dell’altra.
Dal punto di vista di quell’ascetico logico mezzo inglese e mezzo tedesco, sia gli atei che i credenti erano persone propense in egual misura a perdere il loro tempo dietro inutili questioni di lana caprina e quindi, in definitiva, dei fannulloni emeriti, dei patentati perdigiorno.
Nei confronti di Elias però – e non avrebbe potuto essere altrimenti – nutriva anche l’ostilità naturale del rivale in amore e, di conseguenza, il desiderio di provocarlo per pura e semplice meschinità, meglio se di fronte a Milica, l’oggetto del desiderio di entrambi, attirandolo in qualche trappola logica dalla quale non sarebbe mai riuscito a liberarsi. La questione dell’ateismo e dell’esistenza di Dio si presentava appunto perfetta per questo scopo, giacché era arcinota, di pubblico dominio e non conteneva immediati riferimenti specialistici alla logica e alla filosofia che, invece di esaltarlo agli occhi di Milica, lo avrebbero messo nella deprecabile posizione del baro che si prende un vantaggio sottobanco per poter vincere facilmente la partita. Inducendolo a parlare dell’esistenza di Dio, invece, Wittgenhauer era certo di sottrarre a Elias la sola arma che avrebbe potuto avvantaggiarlo: il ruolo della vittima predestinata, che notoriamente suscita in ogni donna – e, quindi, nonostante tutte le sue stravaganze, anche in Milica – l’istinto materno della protezione del cucciolo in difficoltà.
La rappresentazione vera e propria, dopo alcune sapienti scaramucce preparatorie, andò in scena sotto l’elegante pergola del punto di ristoro dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, nel corso di una delle tante interruzioni forzate che, a causa dei piovaschi improvvisi, disturbavano non poco anche gli allenamenti di Peter con Francis.
“Lei crede in Dio?” chiese il professore a Elias senza preavviso e con un tono di voce apparentemente conciliante mentre fingeva di sfogliare l’ultima edizione del Daily Telegraph e lanciava occhiate furtive a Milica, rimasta in disparte a chiacchierare di chissà cosa con Kimberlee Turner-Ashton, una delle sue compagne di doppio preferite.
“Questa domanda mi offende,” gli rispose Elias sospettoso ma incapace di resistere alla provocazione, “io non le chiederei mai se crede a Babbo Natale…”.
“Beh, non è proprio la stessa cosa…” replicò Wittgenhauer gongolante per il pieno successo del suo adescamento.
“Qual è la differenza? Me la spieghi! (Elias qui nascose le sue insicurezze dietro una fragorosa risata di circostanza che gli assicurò solo il risultato di attirare l’attenzione un po’ sorpresa di Milica su quella conversazione) Beh, mio caro amico, ho una brutta notizia da darle: Babbo Natale non esiste!”
Il professore soppesò con cura il suo prossimo affondo, già pregustando in silenzio ogni parola: “Non nego che, apparentemente, la sua affermazione faccia un certo effetto e che non sia priva del fascino un po’ burbero del sarcasmo ben riuscito, eppure in realtà, parlo da un punto di vista puramente logico sia chiaro, non posso non rilevare il fatto che essa non significhi proprio nulla. Ma perché, in considerazione del fatto che continua a piovere e che quindi di giocare a tennis per ora non se ne parla, le signore non si uniscono alla nostra discussione?”
Milica e la sua amica si avvicinarono, entrambe con uno sguardo così distante e rassegnato da far vacillare per un istante tutte le sicurezze e i propositi del professore, che tuttavia si riprese subito, consapevole di essere ormai in gioco e di dover arrivare sino in fondo senza esitazioni.
“Il suo ragionamento”, disse, “è in verità piuttosto elementare, mio caro amico: come Babbo Natale è il riflesso di un desiderio dei bambini che, crescendo, si rendono poi conto che in realtà non esiste, così Dio, creato dall’umanità per rispondere ai bisogni immediati della propria infanzia, viene da quest’ultima abbandonato come superstizione dopo che il progresso l’ha finalmente condotta alla piena maturità. Facile, giusto? Sì, ma purtroppo per lei è anche terribilmente sbagliato. Si tratta infatti di un classico caso di petitio principi, il tipico errore logico di chi assume come premessa ciò che invece dovrebbe dimostrare: Babbo Natale, cioè, viene preso da lei come termine di paragone in considerazione di ciò che già rappresenta mentre viene del tutto tralasciata la dimostrazione della congruenza della relazione con Dio che, invero, non c’è. Mentre, infatti, col passaggio dall’infanzia all’età adulta il punto di vista su Babbo Natale cambia oggettivamente, se non altro perché genitori e parenti si manifestano alla fine come i veri artefici dei regali natalizi, l’umanità intera era e rimane invece incapace di assumere un punto di vista non immanente rispetto al concetto di Dio. Ammesso e non concesso, quindi, che Dio sia, come pensa lei, un’invenzione dell’umanità “infantile”, nessun uomo sarà mai logicamente in grado di affermarlo! Chi dicesse infatti che Dio è una creazione originata dai bisogni dell’uomo dovrebbe poi razionalmente riconoscere che tale considerazione di Dio è, a sua volta, creata dal venire meno di quegli stessi bisogni – il che, lungi dal porre i due concetti in progressione diacronica ed evidenziandone invece la sincronicità del punto di vista, mostra l’intrinseca inconsistenza dell’argomento – laddove la non esistenza di Babbo Natale non è creata dal venire meno dei bisogni che ne avevano prodotto la leggenda ma dal rivelarsi del nesso causale che c’è tra quei bisogni e la leggenda medesima, in una prospettiva oggettivamente diacronica. Dio in quanto tale, la sua esistenza o la sua inesistenza, rimangono concetti che questo suo scadente argomento di Babbo Natale non sfiora nemmeno alla lontana, caro mio!”.
Milica e la sua amica non sembravano particolarmente colpite, al contrario di Elias, che quasi boccheggiava in preda a un tutt’altro che blando stato confusionale.
“Ma in fin dei conti io non posso dimostrare che Dio non esiste così come lei non può dimostrare che non esiste Babbo Natale! Quindi siamo comunque tutti e due al punto di partenza!” esclamò Elias cercando di trasmettere alla propria gola, stavolta senza successo, un’altra, credibile risata sardonica.
Wittgenhauer sorrise allora impietoso, cercando, di nuovo senza grandi riscontri, l’approvazione delle due compagne di doppio.
“L’esistenza”, rispose comunque con un tono quasi cattedratico, “non può essere considerata una questione logica: essa, in quanto fattuale, si mostra e non si dimostra! Ora, poiché l’esistenza in quanto predicato non può derivare dall’analisi di un concetto, giacché discende da un giudizio sintetico a posteriori e non da un’analisi a priori – le parlo così perché immagino che lei, come d’altra parte dovrebbero tutti, abbia una buona dimestichezza con la filosofia kantiana – e visto che la sola esistenza di cui abbiamo nozione è quella fenomenica degli enti condizionati e imperfetti, se ne deduce che se consideriamo Dio e Babbo Natale due concetti da analizzare non siamo in grado di dedurre da ciò il predicato della loro esistenza a causa di un impedimento logico e, nel contempo, che se consideriamo Dio e Babbo Natale in relazione all’esistenza fenomenica degli enti condizionati e imperfetti entriamo in contraddizione perché Dio è per definizione l’essere perfetto e incondizionato. Pertanto Dio e Babbo Natale non possono essere comparati: infatti l’esistenza di Dio, essere perfetto e incondizionato, non si mostra in quanto non fenomenica, contrariamente all’esistenza di Babbo Natale, ente condizionato e imperfetto, che, non mostrandosi pur essendo fenomenica, risulta per davvero inesistente…”
Il professor Wittgenhauer era indiscutibilmente il trionfatore assoluto di quel confronto dialettico: aveva dimostrato addirittura che Babbo Natale non esiste e, nel contempo, come fosse impossibile ragionare su Dio in modo analogo. Milica e la sua compagna di doppio, però, lontanissime dal mostrarsi impressionate da quella conquista del pensiero, parevano invece piene d’entusiasmo per lo squarcio di cielo azzurro che si era finalmente manifestato tra le nuvole cariche di pioggia: la loro partita poteva finalmente riprendere, con la benedizione di Dio e senza escludere, nell’entusiasmo del momento, neppure quella di Babbo Natale.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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