In quegli ultimi giorni trascorsi a Wimbledon, che andavano componendo a poco a poco il minuto mosaico, al tempo stesso affabile e amaro, della consapevolezza, di nuovo e una volta per tutte disincantata, di aver fatto un incidente frontale con la vita e di esserne uscito miracolosamente illuso, a Peter succedeva sempre più spesso di prendere in considerazione il sospetto che in fondo non potesse esistere un sacrificio più grande di un desiderio perfettamente realizzato: non si sentiva quindi infelice per tutto ciò che non aveva fatto e non lo rimpiangeva; aveva casomai nostalgia per l’ingenua sincerità e per l’iperbolica passione che a suo tempo gliel’avevano fatto desiderare.
Assisteva con calma, amaramente sorridente, al preciso finale di ogni cosa, al ritorno ai luoghi esatti che appena poco tempo prima erano stati invece la scenografia di un breve segmento irripetibile e splendido della sua giovinezza, trascorso sin troppo in fretta prima di essere ingoiato per sempre dal dimenticatoio infinito delle illusioni perdute.
Tutt’intorno a lui, qualsiasi spirito di vita e di rivolta gli pareva ormai disinnescato dal cruccio borghese e pantofolaio per la morte (perché ogni ribellione non può non pretendere le sue vittime), dalla minaccia astratta della condanna sociale, dall’abitudine a un vivacchiare incolto ma informato, gestito grazie alla pervasività della tecnologia ma in sostanza solitario e sprovvisto di ideali capaci di grandezze davvero ambiziose (perché nella folla di tutti i giorni le persone si incontrano sempre solo per non potersi mai trovare), e soprattutto dalla democrazia formale delle istituzioni, che non smettevano di vomitare principi per compensare la loro assoluta mancanza di finalità .
(estratto dal secondo volume)
©Andrea Rossetti