L’UOMO DISINCANTATO – Caccia alla volpe

Elias cercava Milica con crescente apprensione, stretto nella morsa della calca e bistrattato qua e là dai tafferugli che si stavano svolgendo per le strade, tra il fumo dei lacrimogeni e le cariche della polizia, mentre i contestatori punk – che nel loro incessante disfarsi in piccoli capannelli manifestavano un’esuberante e anarchica disorganizzazione – andavano avanti e indietro – qui disperdendosi ulteriormente in fughe precipitose, là tornando con veemenza sui propri passi, smaniosi di contrattaccare – con la stessa improvvisazione danzante di uno stormo di uccelli al tramonto, intento a comporre una teoria tanto vivace quanto infinita di traiettorie e di forme ondulate.
I partecipanti a quella protesta improvvisata che si atteggiava sin dall’inizio a mera rappresentazione di un’inconcludente irriverenza fine a se stessa, priva di obiettivi concreti e paralizzata nel contempo dagli eccessi della rabbia e dall’assoluta propensione alla sventatezza, erano tutti molto giovani, una generazione di orfani del sogno psichedelico dei figli dei fiori e delle ambizioni più o meno idealistiche dell’impegno politico militante, monadi bambinesche di un ritrovato ed esasperato individualismo, certamente imbellettato con slogan provocatori e sedotto dal fascino elementare del caos, ma che avrebbe potuto dare luogo con assoluta naturalezza anche a un’altra borghesia, appena più irresponsabile e selvaggia della precedente. La vera differenza la faceva quello sciatto nichilismo intransigente – che d’altra parte trovava tutta la sua ragion d’essere nella livida crisi economica che stava progressivamente piegando la schiena della nazione paralizzando la volontà e le ambizioni di molti – sul quale alcuni astuti battitori liberi dell’imprenditoria britannica – come il proprietario di un bizzarro negozio di moda aperto a Londra, in King’s Road – avevano immediatamente investito, indovinando l’opportunità di realizzare profitti eccezionali. La ribellione elementare di quei ragazzi stravaganti, naturalmente mortificati e sconvolti di fronte alla penosa combinazione in atto tra l’epoca storica in corso e la loro età anagrafica, che pareva tagliare di netto il rapporto di un’intera generazione col proprio futuro, poteva infatti recuperare l’opportunità di una riconoscibile dimensione sociale solo grazie al rock primitivo di band create a tavolino mettendo insieme musicisti improvvisati e facendo affidamento sull’idolatria spicciola dell’oltraggio e della sovversione culturale, che nel frattempo accrescevano la loro visibilità mediante il dilagare di un disturbante quanto innocuo terrorismo estetico, fatto in sostanza di tagli di capelli, di vestiti stracciati e poi ancora di catene, di bigiotteria fetish e di spille infilate un po’ dappertutto.
Elias tentava dunque di farsi largo senza patire danni in quel vortice assurdo di divise scure e di sgangherata giovinezza, mantenendo il controllo sulla maggior parte dei propri movimenti e orientando velocemente lo sguardo ovunque un dettaglio qualsiasi gli richiamasse alla mente le fattezze di Milica. In un certo senso stava facendo esattamente ciò che sino a quel momento aveva creduto e temuto che volesse fare l’uomo nero. Certo, le intenzioni erano ben diverse ma queste da sempre restavano invisibili e non potevano essere processate, e quindi anche chiamate a discolpa, se non arbitrariamente; quel che invece balzava agli occhi era da subito la concretezza inoppugnabile dell’azione in quanto tale, e in questo senso tra lui e l’uomo nero non c’erano davvero differenze considerevoli.
Immerso suo malgrado in quell’eccesso dilagante e inatteso di squilibrio così poco inglese che, come un attentato dinamitardo, era esploso all’improvviso nei pressi della sua vita, spezzando senza ritegno i legami parsimoniosi che sino a quel momento aveva allacciato col mondo a partire dalla prossimità con Milica, Elias iniziò a temere con angoscia crescente l’eventualità di essere frainteso, una minaccia che, se non è mai del tutto priva di conseguenze nei tribunali, diventa addirittura micidiale nel contesto di un tumulto di folla. Cercava di capire quante di quelle persone già imbestialite per i fatti loro – chi per rabbia fine a se stessa, chi per dolore, chi per senso del dovere, chi per spirito di emulazione – e incoraggiate dalle circostanze a sommare confusione a confusione, sarebbero state propense a riconoscerlo in quell’uomo nero che tuttavia lui solo presumeva si fosse messo sulle tracce di Milica con intenti scellerati. Per fare un calcolo, anche solo approssimativo, Elias avrebbe dovuto conoscere il numero esatto di coloro che – tra i punk e gli agenti – prendevano in seria considerazione l’esistenza dell’uomo nero, e poi di quanti tra questi davano anche credito ai suoi propositi perversi fino al punto di essere pronti a convogliare il frastuono, le urla e la violenza della protesta e della sua corrispondente repressione contro quel nuovo, unico nemico comune. La consapevolezza dell’impossibilità di procedere a tali conteggi coincise nella mente di Elias col manifestarsi della più primitiva e irrazionale tra le paure: la corticotropina lo predispose immediatamente a una fuga disorientata mentre adrenalina, noradrenalina e dopamina, approfittando anche della bassa presenza analgesica dell’endorfina, corroboravano in lui la madre di tutte le angosce.
Elias presentì la concretezza di un pericolo imminente appena prima di ricevere il primo colpo di manganello sulla testa: le guardie si erano improvvisamente accorte della sua presenza e tutte insieme, come in preda a un accesso di ostilità condivisa, avevano rivolto verso di lui la loro azione punitiva più dura. Gli altri manifestanti, che in quel momento stavano in gran parte ondeggiando chiassosamente tutt’intorno nel tentativo di abbozzare un accerchiamento, colti alla sprovvista da quel pestaggio tanto repentino e brutale, invece di aiutare Elias, si erano tutt’a un tratto allargati per lasciare via libera ai poliziotti, rendendo evidente così un’istintiva inclinazione a trarre vantaggio dalla disgrazia di quell’uomo, prendendo le distanze da lui e riconoscendolo implicitamente come un corpo estraneo, una comparsa ambigua a partire dal suo ordinario abbigliamento borghese e priva di evidenti rapporti con la protesta in corso che andava quindi espulsa affinché tutto potesse riprendere dal punto in cui era stato sospeso.
Spintonato e picchiato, Elias reclamava rabbiosamente il nome di Milica di fronte alla solitudine assordante che gli veniva imposta dall’aggressività della polizia e dall’indifferenza della folla, per l’occasione combinate insieme in un dato di fatto solo apparentemente contraddittorio. Londra bruciava come un ettaro di terreno coltivato a cotone e lui, stremato e sanguinante per le botte ricevute, ferito prima che dai colpi di manganello dalla condotta dei suoi simili e abbattuto per l’interruzione forzata che era stata imposta alla sua ricerca, trovò un po’ di sollievo svicolando in una strada secondaria, fermandosi nei pressi di una fontanella per rifiatare e per lavarsi via il sangue dalla faccia.
C’era una confusa, malevola distanza posta tra la realtà e la verità, un’eccedente fitta intercostale a suturare il pubblico col privato. Eppure quella terra così vasta, aperta come le cosce di una prostituta tenuta da parte per i tempi più critici del migliore tra i matrimoni, quella terra di uomini pallidi, superbi e devoti alla monarchia, uomini che, poveri o ricchi che fossero, santificavano comunque la festa indossando l’abito buono per andare in chiesa a intonare salmodie, nascondeva forse troppo bene la sua colpa incombente e sottovalutata: Elias si ritrovò a pensare, come in un colpo di scena a teatro, che l’uomo nero potesse essere proprio l’Inghilterra e, per un istante, ebbe di nuovo paura.
A prescindere da ogni altra considerazione, però, un inganno si era comunque consumato, un malinteso originale come il peccato di fronte a un battesimo rimasto incompiuto. Di sicuro, infatti, in quelle specifiche circostanze, Elias non poteva che essere considerato senza colpa: egli non era mai stato un facinoroso, anzi, e nemmeno un predatore, perché aveva unghie troppo corte, mangiucchiate dall’ansia, e poi, a fugare ogni dubbio, denti arrotondati, da erbivoro innocente.
Accasciato a terra in prossimità della fontanella e precipitato in uno stato di complessiva prostrazione fatto di stanchezza, dolore e smarrimento, Elias non si era reso conto da subito che quattro o cinque teddy boy, i nemici giurati dei punk, erano sbucati dall’altra parte della strada e lo stavano osservando con particolare attenzione. Quando poi finalmente si era accorto di quelle presenze ostili e dinoccolate che oscillavano incerte tra ghigni e sorrisi, ancora distanti ma non abbastanza per garantirgli il successo di una fuga precipitosa, si era risollevato in piedi con studiata lentezza, riassettando alla meglio con entrambe le mani i suoi abiti sporchi di sangue e di molto altro, e, tenendo fissa la coda dell’occhio sui nuovi arrivati, dai quali era ben consapevole di potersi aspettare ulteriori fastidi, aveva cominciato a camminare verso una direzione qualsiasi, evitando di tradire inquietudini che avrebbero potuto metterli in allarme e di fare movimenti bruschi o scatti repentini per non sollecitarli a iniziare istintivamente un inseguimento senza motivo.
Dal canto loro anche i teddy boy si erano mossi, ma evidentemente senza una particolare convinzione: continuavano a guardarsi tra di loro con disattenta perplessità, seriamente indecisi sul da farsi, quasi ben disposti a lasciare in pace uno che, in fondo, aveva tutto l’aspetto di un povero diavolo contro il quale le circostanze si erano già accanite abbastanza. Proprio vedendolo così malandato, però, avevano anche dedotto da subito che fosse uno dei partecipanti agli scontri con la polizia e di conseguenza un loro nemico, nonostante gli strani abiti borghesi che indossava facessero sorgere più di un dubbio circa la piena consapevolezza della sua adesione al movimento punk.
Sull’intera situazione regnava profondissima l’incertezza, un’attitudine al fermo immagine o alla sciatteria di un viaggio in auto col freno a mano tirato, finché una giovane punk, alta, magrissima e molto sbilenca, rimasta isolata dagli altri e visibilmente disorientata, apparve in fondo alla via e s’intromise in quella scena come fa un mezzo di contrasto in diagnostica radiologica, sbloccandola di prepotenza e restituendole in pochi secondi, e con inaudita brutalità, tutta la gamma delle possibili vibrazioni sonore e della frenesia dei movimenti. I teddy boy, rientrati subito con disinvolto entusiasmo nel proprio ruolo, poterono infine scatenarsi in un selvaggio e liberatorio inseguimento dietro quell’apparizione ai loro occhi certamente odiosa che, dal canto suo, se l’era già data a gambe con tanto di coreografico dito medio alzato. Ogni cosa poté contestualizzarsi con precisione e una volta per tutte in quanto elemento scenico di una furiosa e corale battuta di caccia, in ultimo riprendendo pieno possesso anche del più genuino spirito anglosassone.
Elias, oltrepassato dalla vicenda in quanto retaggio problematico, temporaneo e ormai anche insignificante di uno stato di cose del tutto inverosimile, iniziò a piangere, abbandonandosi ai lunghi gemiti e ai singhiozzi di una rumorosa disperazione.
Qualche ora dopo Milica, che intanto lo cercava, lo trovò rannicchiato, in preda a una sorta d’inedia fetale, nella tana vuota di una volpe rossa. Era ferito nel corpo e traumatizzato nei sentimenti, addirittura nella sua stessa visione del mondo, ma pure certo, e con tutta l’amarezza del caso, della propria condizione di anomalia congenita, di straniero assoluto, e conscio di come, a causa di un fraintendimento costante nell’ambito del quale la salvezza non poteva discendere che da un fortuito evento casuale, per lui non valessero i concetti comuni di innocenza e di colpevolezza.
Milica fece caso alla circostanza che, nonostante tutto, i tratti del viso di Elias conservassero istintivamente una certa civile compostezza. Lo abbracciò, come avrebbe fatto con una bambola giunta dagli anni dell’infanzia per farsi ritrovare in soffitta oppure con un cadavere vegliato e messo a disposizione del cordoglio di chiunque. Lo fece scusandosi a lungo con lui per essersi allontanata in preda a una lacrimosa, ossessiva filastrocca, mentre con le mani gli spazzava via il terriccio di dosso, disseppellendolo del tutto con una foga felice.
Elias tornò così alla luce, come una mummia antica, senza pagare lo scotto di conseguenze troppo spiacevoli, a parte le ferite alla testa e il dolore degli occhi che, a lungo andare, si erano assuefatti al buio della tana della volpe. Non ricordava più le ragioni della sua fuga precipitosa ma forse – pensò infine – una fuga non ha bisogno di ragioni, è ragionevole in sé, come la morte. E si mise il cuore in pace.
“Bisogna essere davvero molto intelligenti e molto tristi per riuscire a conoscere perfettamente l’allegria senza poterla gustare…”
Milica pronunciò queste parole quasi sillabandole, con infinita pazienza e tremenda attenzione a causa dello stato di Elias, che, però, in attesa ormai del suo futuro, non le rispose mai.

(estratto dal secondo volume)

©Andrea Rossetti

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